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L'INTERVISTA. Dambruoso: «Caso isolato, nessuna strategia»

Paolo Ferrario martedì 13 ottobre 2009
Un episodio isolato, figlio di una mente disturbata, che non ha nulla a che fare con il terrorismo islamico. È rassicurante, l’analisi dell’attentato alla caserma milanese di via Perucchetti, di Stefano Dambruoso, magistrato a capo dell’Ufficio per il coordinamento dell’attività internazionale del Ministero della Giustizia, tra i massimi esperti italiani di terrorismo di matrice islamista. «Dietro a questo fatto – ribadisce Dambruoso – non c’è un movimento vicino al radicalismo islamico, ma probabilmente il disagio esistenziale di una persona che è sfociato in questo comportamento violento».Come difendersi da attacchi di questo tipo?È praticamente impossibile. Non trattandosi di iniziative programmate, nè comunicate ad altre organizzazioni sono molto difficili da intercettare e prevenire. In altri termini, in casi simili non esiste una strategia adeguata a tutela della sicurezza pubblica.Lei, comunque, esclude si tratti di un terrorista...Direi di sì. Siamo in presenza di una persona mentalmente disturbata che, poi, è anche di religione musulmana. Ma questo tipo di patologie esiste a prescindere dalla fede e dai convincimenti religiosi. Stiamo quindi parlando di un musulmano disadattato che non è espressione di una strategia terrorista più complessiva, ma soltanto della sua condizione.È possibile, a suo giudizio, che sermoni magari non troppo moderati abbiano avuto maggiore presa su una mente già fragile?È certamente possibile e, anche per questo motivo, le attività di indagine saranno orientate a verificare le frequentazioni di questa persona. È naturale, infatti, che sermoni non equilibrati possano avere effetti negativi su fedeli con problemi mentali. Se così è stato, saranno comunque le indagini ad appurarlo.A questo riguardo, è d’accordo con chi propone che gli imam tengano i loro sermoni in italiano?Potrebbe aiutare a non diffondere una paura e un timore infondati verso il mondo musulmano in generale. I pregiudizi non aiutano il dialogo e l’integrazione e, quindi, anche uno strumento che, a prima vista, potrebbe essere guardato con diffidenza dalle comunità islamiche, si rivelerebbe, invece, molto utile per far crescere la fiducia verso questi cittadini. E, aggiungo, coniugando il rispetto con la trasparenza, anche gli stessi musulmani sarebbero più rassicurati. Gli immigrati islamici devono capire che i controlli diverranno sempre di meno quanto più ci sarà consapevolezza di una loro integrazione convinta nella nostra società.Certo che, episodi come questi non facilitano il cammino dell’integrazione...In questo caso specifico, non c’erano problemi di questo tipo. Quest’uomo era in Italia da tanto tempo con regolare permesso di soggiorno. In questo caso, non si può certo parlare di carenza di integrazione. Per tale ragione, anche alla luce di questo episodio, ribadisco l’importanza di non demonizzare in assoluto l’immigrazione islamica, con la quale, invece, dobbiamo imparare a convivere.