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Terremoto. Il commissario Castelli: «Case e scuole. I giovani devono poter restare»

Igor Traboni sabato 24 agosto 2024

Guido Castelli

A otto anni dalle quattro scosse di terremoto che tra l’agosto 2016 e il gennaio 2017 devastarono il Centro Italia, causando 299 morti, la ricostruzione fin qui è stata lenta «ma adesso garantiamo il cambio di passo. E i primi effetti si stanno già vedendo, soprattutto ad Amatrice, ma non solo», garantisce Guido Castelli, dal 2023 commissario straordinario per la ricostruzione.

Commissario Castelli, otto anni sono tanti: cosa non ha funzionato?

«Per quella che è stata la mia visuale particolare, perché ero sindaco di Ascoli Piceno al tempo della prima scossa e poi assessore regionale alla ricostruzione, prima della nomina a commissario, posso dire che i primi quattro anni sono stati i più complessi, con diverse false partenze. Probabilmente era stato proposto un modello di ricostruzione che non era attagliato al Centro Italia e a un territorio del cratere che, va ricordato, è più vasto dell’Olanda. Si richiedeva una normativa più snella e invece erano anni con tanto formalismo e troppa burocrazia. Poi c’è stato il Covid: è vero che si è perso ancora un anno, ma si è cominciato a intervenire sulla norma. Adesso invece si è finalmente passati ad un atteggiamento pragmatico, un cambio di passo con molta concretezza, grazie anche a norme più snelle di cui ringrazio il governo»

Ma non c’è il rischio di ricostruire laddove la gente è andata via? Molti di quei borghi si vanno spopolando…

«Vale la pena, eccome! La ricostruzione riguarda una grande questione nazionale, ovvero lo spopolamento di tante aree interne del Centro Italia. Per questo stiamo proponendo una ricostruzione affiancata anche da una strategia di rilancio economico, con una visione che possa consentire ai giovani di non andar via e alle imprese di tornare ad essere fiorenti. E poi gli ultimi dati già indicano una ripresa nella curva della tendenza demografica perché la gente sta tornando. E tutto questo ha a che fare anche con la crisi climatica: un Appennino centrale non popolato rende più fragile l’Italia; poi piangiamo quando arriva il nubifragio o la tromba d’aria e si porta via tutto, ma è proprio l’effetto di una crisi climatica tanto più pericolosa quanto più trova abbandonato l’Appennino».

A proposito di giovani: per non andar via hanno anche bisogno di studiare vicino casa…

«Certo. E per questo stiamo ricostruendo 450 scuole nel cratere e anche fuori, ma comunque danneggiate. E ci siamo posti il problema di garantire che, mentre ricostruiamo, le scuole non vengano chiuse. Inoltre, abbiamo ottenuto una norma che, fino al 2028/29, consentirà di mantenere le classi anche in deroga ai numeri minimi. Istruzione, trasporti e sanità sono tasselli decisivi: con le Regioni stiamo lavorando perché ci siano strade che in 45 minuti consentano di arrivare ad un ospedale e con Federfarma di implementare i servizi di telemedicina, coordinando farmacie rurali, infermieri di comunità e medici di base».

Parliamo anche di zone in cui la religiosità si esprime anche con un ricco patrimonio artistico, ora fortemente danneggiato: in tal senso come vi state muovendo?

«Siamo stati recentemente alla Cei e abbiamo incontrato il segretario Baturi e tutti i vescovi del cratere e verificato lo stato di attuazione del programma che porterà alla riqualificazione di ben 752 edifici di culto, di proprietà diocesana o di enti ecclesiastici; noi interveniamo nella misura in cui sono beni culturali. Abbiamo anche condiviso l’esigenza di estendere il meccanismo “art bonus” alle attività di restauro e cura degli arredi, decorazioni e stucchi».

Molte imprese edili lamentano però ancora ritardi nei pagamenti: com’è la situazione?

«In alcune zone, ma non tutte, effettivamente c’è da lavorare in tal senso. Un po’ sono gli uffici che rallentano e un po’ anche le banche, spesso non dotate di personale per smaltire le lavorazioni. Intanto abbiamo stabilizzato 359 dipendenti, tra Comuni e Uffici regionali per la ricostruzione, che rischiavano di andarsene perché avevano contratti a tempo determinato. Il rafforzamento della Pubblica amministrazione è un pezzo della soluzione anche di questo problema».