Intervista. Conte: «Una follia dilapidare 800 miliardi in armi senza un progetto»

È forse il momento in cui Giuseppe Conte sta producendo il massimo sforzo per ridisegnare l’identità politica del Movimento cinque stelle. La parola chiave è «pace». La dimensione cui guarda il capo del M5s è italiana, con la piazza del 5 aprile che ambisce a diventare una piattaforma unitaria del pacifismo. Ed europea, come dimostra la missione a Strasburgo di pochi giorni fa. «Da tre anni - spiega l’ex premier - M5s porta avanti una posizione di chiarezza e coerenza: no all’escalation militare, no a più soldi per le armi. E l’abbiamo ribadita anche mercoledì al Parlamento europeo votando no alla risoluzione sul riarmo. Il piano da 800 miliardi di Von der Leyen è una follia, nessuna persona ragionevole dilapiderebbe, peraltro senza un vero progetto organico, una montagna di miliardi per avere più armi, mentre gli italiani sono alle prese con l’aumento delle bollette e del carrello della spesa e con una sanità al collasso. Eppure Meloni ha firmato questo disastro sulla pelle dei cittadini. Per questo il 5 aprile scenderemo in piazza a Roma per dire basta, fermiamo questo governo».
Sta nascendo un fronte europeo a sinistra su queste posizioni, a suo parere?
Parlerei piuttosto di un fronte del buon senso. Con i parlamentari di M5s siamo stati a Strasburgo per protestare contro il piano di riarmo e in quell’occasione un folto gruppo di europarlamentari è venuto a ringraziarci per aver dato voce a tutti coloro che sono contrari a questa follia, purtroppo sostenuta in Europa da una maggioranza trasversale che va da destra a sinistra. Noi siamo convinti che si possa costruire questo fronte dal basso, con tutti i cittadini, per ribaltare scelte che passano sopra le teste delle persone.
Il riarmo intanto è un dato di fatto. E viene motivato con la minaccia rappresentata da Putin. Per lei esiste questa minaccia? E quale è l'alternativa per affrontarla?
Nel 2022 è stato fatto saltare un accordo di pace sull'Ucraina, mentre ai cittadini si raccontava che Putin era pronto a invadere l'Europa fino a Lisbona e che noi con invii di armi a oltranza avremmo potuto batterlo militarmente. Serve sicuramente un progetto di Difesa comune per garantire la sicurezza degli europei, ma l'Europa oggi investe già più della Russia in spese militari: coordiniamo e razionalizziamo queste spese anziché far spendere 800 miliardi in più in armi in ordine sparso ai singoli Stati. Così si arricchisce solo l'industria delle armi, senza aumentare la sicurezza dei cittadini.
È infastidito dal parallelo tra la posizione di M5s e quella della Lega?
È pura disonestà intellettuale accostarci. La Lega ha sostenuto con i fatti le politiche belliciste di Giorgia Meloni, Salvini fa parte di un governo che ha firmato in Europa quel Patto di stabilità che strangola gli investimenti in sanità, scuola, imprese e infrastrutture e da cui ora si scorporano le spese in armamenti.
È consapevole del fatto che le divergenze sulla politica estera potrebbero creare una frattura insanabile con il Pd, al netto dei tentativi di sintesi di Elly Schlein, tra l’altro naufragati con le divisioni dem nell’Europarlamento?
La nostra posizione è sempre stata chiara, nella campagna elettorale per le elezioni europee prendemmo un impegno con i nostri elettori e lo abbiamo rispettato: dicevamo che avremmo portato a Bruxelles dei “costruttori di pace” e così è stato. Naturalmente ho apprezzato la presa di posizione personale di Schlein contro il piano di riarmo e dispiace che poi questa a Strasburgo si sia tradotta in una astensione, ma il mio auspicio è che la segretaria riesca a compattare tutto il Pd su questa sua contrarietà al piano.
I segnali di tregua secondo lei potrebbero essere l'occasione per rivedere i piani di riarmo?
L'Europa per tre anni ha portato avanti una strategia fallimentare, illudendosi che l’Ucraina potesse battere militarmente la Russia. E oggi, invece di chiedere scusa ai cittadini, perpetua i propri errori buttando 800 miliardi in armi, proprio mentre Trump è al tavolo dei negoziati, come noi chiediamo da 3 anni. La pace non scende dal cielo: va costruita con determinazione. E invece Meloni ha mantenuto sempre una postura bellicista: ha allontanato la pace, ha danneggiato economicamente l'Italia e ha reso il nostro Paese ininfluente.
Ma lei da premier cosa avrebbe fatto in una congiuntura così difficile?
Bisognava costruire traiettorie di pace e di dialogo, com’è nella tradizione del nostro Paese. Avrei lavorato senza sosta perché al tavolo dei negoziati a tutelare gli interessi dell’Ucraina potessero esserci l’Europa e l’Italia, senza lasciare questo pallino nelle mani esclusive degli Usa. Avremmo potuto lavorare per una pace con condizioni per l’Ucraina sicuramente più favorevoli rispetto a quelle che le si prospettano oggi. Ricordo che a due mesi dall’inizio del conflitto la pace era a portata di mano, ma non si è voluta afferrarla.
Lei da premier aveva un buon rapporto con Trump: il riarmo non è anche una risposta alle sollecitazioni dell'amministrazione Usa a diventare più autonomi sulla difesa?
Un riarmo insensato che ingrassa i conti delle multinazionali della difesa non è di per sé una dichiarazione di autonomia. E una difesa comune europea non può prescindere da un’intesa sugli obiettivi di una politica estera anch’essa comune. Il tema dunque oggi è capire quale è il denominatore comune dei 27 Stati dell'Ue e in virtù di questo costruire una postura autonoma rispetto alle sfide poste dagli altri players internazionali: dagli Stati Uniti alla Nato, passando per Cina e Brics.
Nato e Onu hanno un futuro?
È prioritario rivalutare le finalità per cui le organizzazioni internazionali operano adattandole alle sfide attuali e future: non possono essere ostaggio di interessi particolari o peggio essere sovrastate e sminuite, come accaduto alle Nazioni Unite durante la lunga crisi in Medio Oriente. Pur nell’ambito di differenti finalità, dovrebbero diventare luoghi privilegiati in cui perseguire un nuovo equilibrio mondiale all’insegna del multilateralismo.
L'Ue si riavvicina alla Cina, alla luce dei dazi. Rivendica l'accordo con Pechino?
Qualcuno ha provato a fare del terrorismo mediatico e politico sul Memorandum del 2019, ma i fatti ci danno ragione. Meloni ha cancellato l’intesa per mera propaganda, salvo poi tornare con il cappello in mano da Xi Jinping per ristabilire l’unico strumento che garantiva un riequilibrio della bilancia commerciale tra i due Paesi. È politica, non il circo a cui ci abitua Meloni.