INTERVISTA. «Togliere il voto agli evasori» Pizzetti apre il dibattito
«È vitale che si comprenda la necessità, in generale ma ancor più in questa fase storica, che tutti paghino le tasse. Può sembrare un’affermazione forte, ma io non vedrei male una norma per cui l’accertamento di un’evasione fiscale di un certo rilievo possa comportare la perdita dei diritti elettorali... Non per sempre, magari solo per un certo periodo...». A parlare così non è un cerbero del Fisco, né un nostalgico degli Stati sovrani dei secoli passati, ma Francesco Pizzetti, giurista di vaglia, docente di diritto costituzionale e per sette anni, dal 2005 fino a giugno di quest’anno, presidente dell’Autorità garante per la privacy.Perché una misura così drastica, professore?A mio parere, un cittadino è tale se rispetta le leggi e paga le tasse. Ha presente il vecchio e solido principio liberale del no taxation without representation, per cui non si pagano le tasse, se non si possono eleggere propri rappresentanti? Ecco, può funzionare anche capovolto: se non si pagano le tasse, non si avrà diritto ad eleggere o ad essere eletti...Insomma, secondo lei non bastano multe e sanzioni, serve lo stigma sociale...Negli Stati Uniti d’America, chi non paga i tributi viene considerato dagli altri cittadini una specie di ladro, che ruba qualcosa anche a loro. E costoro sono i primi anticorpi a respingere, a livello sociale, il virus dell’evasione. In Italia invece si continua a considerare chi buggera l’erario un tipo astuto, lo si chiama «furbo», quasi a sottolinearne l’abilità nel gabbare lo Stato. E poi c’è la tara dell’omertà...Vecchio difetto italico...Già. In molte questioni, e non solo nelle vicende di mafia, si ritiene che lo Stato sia una sorta di maestro di classe. Quando è di spalle, c’è la possibilità di fare marachelle. E quando si volta a domandare chi è stato, scatta l’omertà: tutti zitti con lo sguardo basso. È un atteggiamento che, nel caso dell’evasione, non va bene: i soldi che mancano alle casse dello Stato sono soldi di tutti, della collettività, e quindi il danno è per tutti.Sanare vizi atavici in tempi brevi appare arduo. Cosa si può fare nell’immediato per vincere quella che il premier Monti ha definito una «guerra»?Intanto, eviterei quel termine. So bene che il presidente lo ha utilizzato solo come metafora. Ma lascia comunque l’impressione che, nell’approccio bellico, tutto sia concesso...Cosa intende, professore?In guerra ci si dirige contro dei nemici. I cittadini però non sono tali. E nella lotta all’evasione dovrebbe valere la presunzione di innocenza: si è evasori solo quando i fatti lo dimostrano. Non vorrei si passasse da una cultura del permissivismo ad un’altra dell’eccessivo sospetto. Ovviamente, è importante perfezionare i controlli e far sì che ognuno paghi il dovuto.Si riferisce ai cosiddetti "blitz" scattati in tutta Italia?Non solo a quelli. E comunque non saranno i blitz a Cortina o Ischia debellare l’evasione: hanno piuttosto un valore esemplare, per ribadire la presenza dello Stato, come i posti di blocco durante gli anni del terrorismo...E le verifiche attraverso le banche dati? Non servono a focalizzare i sospetti solo sui potenziali trasgressori?Servono, certo. Anche se la mia esperienza come Garante mi ha insegnato che bisogna poi controllare attentamente come i dati vengano custoditi e utilizzati: del resto, già dal 2008 l’Agenzia delle entrate ha la possibilità di accedere ai dati dei contribuenti e incrociare le informazioni che li riguardano. Insomma, l’uso delle banche dati è opportuno ma deve esser gestito cum grano salis, tenendo sempre presenti i limiti che tutelano la sfera privata dei cittadini.È un crinale difficile: stanare gli evasori ma rispettare i diritti di tutti...Lo è, ma del resto nessun potere pubblico è sciolto dalle leggi. Sa come dicono negli Usa? C’è solo una persona più importante del presidente ed è il cittadino americano. Gli italiani onesti, coloro che pagano le tasse, hanno diritto ad essere considerati così. (Vincenzo Spagnolo)