Forza Italia. Barelli: «Altri candidati? Servono capacità, Tajani è un numero 1»
«Dopo oltre 29 anni è la prima riunione senza il nostro fondatore Silvio Berlusconi. Ci animerà una grande emozione, ma anche la consapevolezza di ottemperare allo statuto voluto da Berlusconi stesso per la nomina del nuovo presidente», dice Paolo Barelli, capogruppo di Fi alla Camera alla vigilia dell’odierna riunione romana del partito.
Teme che la famiglia Berlusconi possa sfilarsi?
Saremmo davvero lusingati se l’impegno politico fosse perseguito anche da un familiare di Silvio, ma sono decisioni che spettano a loro. Una cosa è certa: i figli sostengono in modo deciso Fi come creatura del loro padre e come forza di cui c’è bisogno nel Paese.
Forza Italia non ha mai avuto un congresso in 29 anni. Faticherà a impostare nuove dinamiche politiche?
Berlusconi dialogava molto con le persone che aveva formato e raccolto attorno a sè, aveva una gran capacità di ascolto e sintesi. Nessuno può pensare di sostituirsi a lui in un partito diventato anno dopo anno fondamentale per il Paese. È chiaro che occorrerà cambiare modalità e approccio con una realtà mutata dalla sua assenza, ma in questo ci è di grande aiuto l’affetto dimostratoci da tante parti, anche da persone che non ci votavano, e che ci porterà al congresso del 2024.
Congresso rispetto a cui c’è chi nel partito, come Giorgio Mulè, auspica candidature alternative a Tajani.
A me sembra evidente che la candidatura di Tajani sia stata voluta e apprezzata da tutti. Se ci sarà qualcun altro che in futuro aspirerà a questo incarico e dimostrerà capacità, sarà valutato. Tutti sanno che Tajani è una figura fondamentale anche per il governo e i cittadini capiscono che in un quadro generale mai come oggi marcato dalle dinamiche internazionali servono figure come lui, che quelle dinamiche conosce come nessun altro. Antonio è un “numero 1”, le intuizioni di Berlusconi si sono sempre rivelate vincenti.
Il congresso di Fi coinciderà con le elezioni europee. Come deve presentarsi il centrodestra, reduce da una sconfitta pesante a Strasburgo sulla “legge Natura”?
Fi fa parte del modello italiano di centrodestra che noi vogliamo esportare in Europa, per questo auspico che la coalizione possa ritrovarsi unita anche in quel contesto. Vedremo nei prossimi mesi, prima ci sono importanti elezioni nazionali anche in Spagna e Polonia. Una certezza, al di là di ogni questione, è che il Ppe sarà ancora al governo in Europa e quindi anche noi di Fi, che ne facciamo parte. Penso a un’alleanza fra Ppe, conservatori, liberali e chiunque altro europeista ci voglia stare.
È un messaggio che rivolge alla Lega, finora alleata in Europa del Rassemblement di Marine Le Pen?
C’è una preclusione del Ppe verso partiti che nella loro storia hanno incarnato un anti-europeismo viscerale. Non possono essere buttati via gli sforzi enormi fatti per costruire una Europa unita che in futuro dovrà evolversi per competere con altri continenti e mercati. Tenendo conto anche che per l’Italia e per Giorgia Meloni si possono aprire spazi enormi per un ruolo di primo piano nell’Ue.
Non è eccessivo voler sopprimere del tutto la proposta delle opposizioni sul salario minimo?
C’è una narrazione che va capovolta. Non deve essere una foglia di fico creata: il salario minimo oggi esiste sì, ma in Paesi dove la contrattazione non è presente o in Germania, ma su base regionale. Stiamo attenti a fissare un vincolo capace anche di far abbassare i salari in settori che oggi hanno minimi più alti garantiti dai contratti, il rischio c’è.
E le polemiche sulla giustizia e sul caso Santanchè?
Fi ha nel dna il garantismo, non ci piacciono i processi mediatici. Per questo vuole una riforma che non è fatta per punire alcuno, ma per tutelare i cittadini. Inclusa la separazione delle carriere e incluso l’abuso d’ufficio. Sosteniamo senza se e senza ma la volontà riformatrice del ministro della Giustizia, Nordio.