Attualità

INTERVISTA. Jolles: «L’accoglienza diventi questione europea»

Lucia Bellaspiga lunedì 7 ottobre 2013
«Troppe persone disperate sono disposte a rischiare la vita per mettersi in salvo da conflitti, persecuzioni e violenze. Tragedie come questa devono far riflettere tutti», aveva detto giorni fa Laurens Jolles, delegato Acnur (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) per il Sud Europa, Italia compresa. Sulle coste di Scicli erano appena annegate tredici persone fuggite dall’Eritrea... Nemmeno il tempo per riflettere e la tragedia è diventata ecatombe, costringendoci a risvegliarci dal torpore dell’assuefazione.Di «corridoio umanitario» parlano politici e associazioni umanitarie. Ma in concreto in cosa dovrebbe consistere?In genere definiamo così l’accordo tra due parti in guerra per poter evacuare i civili intrappolati nelle zone di conflitto. In questo contesto, invece, auspicherei continui pattugliamenti nel Mediterraneo, con il sostegno dell’Unione Europea, non per contrastare l’immigrazione "irregolare", come avveniva nel periodo buio dei respingimenti, ma per interventi immediati che prevengano i disastri e facilitino il percorso.Servirebbero molti più mezzi, oltre che armonia di intenti tra le nazioni.Al momento la Guardia Costiera italiana lavora moltissimo e in modo encomiabile, anche perché con pochi mezzi, e va al di là dei suoi compiti, spingendosi in acque molto vicine alla Libia. Ma indubbiamente risorse adeguate devono arrivare dall’Europa. È chiaro che bisogna difendere le frontiere da ogni tipo di abuso, ma questo non vuol dire respingere tutti, bensì individuare chi ha diritto di essere accolto come rifugiato.L’Italia è un approdo naturale, il «corridoio» coinvolgerebbe altre coste europee?Anche con un pattugliamento delle acque resterebbe poi il problema di dove far sbarcare i migranti, allora potrebbe essere scelto un luogo di comune accordo – non necessariamente italiano – in modo da gestire gli approdi. Se l’arrivo dei rifugiati fosse considerato problema europeo, anche l’accoglienza avrebbe una gestione europea. Detto questo, però, ci sono cose che da anni andrebbero fatte in Italia, promesse mai mantenute che in questi giorni emergono.Ad esempio?Il Centro di accoglienza di Lampedusa in passato aveva una capacità di 800 persone, ora di 250, ovvero mezzo barcone: il ripristino tanto promesso non si è mai avverato. Secondo, Lampedusa doveva essere trattata come posto di transito, dove i migranti arrivano, ricevono una prima accoglienza, si identificano i più vulnerabili e in 48 ore li si avvia ad altri Centri sulla terraferma, ma non è mai avvenuto: ora a Lampedusa ce ne sono 1.200 e dormono all’aperto. Il fatto è che in Italia mancano i Centri di accoglienza e i pochi esistenti sono inadeguati, e questa non è Europa...I pattugliamenti risolverebbero l’emergenza nel suo atto finale, ma prima, nei percorsi della morte in terra africana, che fare?In Libia tentiamo da anni di creare uno spazio di protezione per i migranti, ma manca un interlocutore. Si sperava che un governo nuovo avrebbe aderito alla Convenzione di Ginevra, ma ora non vedo aperture. Intanto in Nord Africa decine di migliaia di migranti aspettano di partire.Non è una cifra che dovrebbe spaventare l’Europa: in Italia dalla Siria sono arrivati 7.000 rifugiati, ma 2 milioni sono andati nei Paesi confinanti, ad esempio 700mila in Libano, dove costituiscono un decimo della popolazione. Intendo dire: si può fare di più.Anche per l’accoglienza, obiettivo finale di un «corridoio» altrimenti poco umanitario.Certo. Il tutto funziona se l’Ue si fa carico congiuntamente del pattugliamento sul mare, dell’accoglienza sulle coste, dell’identificazione di chi ha diritto allo status di rifugiato, della distribuzione sui territori di queste persone. Facile dirlo, meno facile farlo, ma senz’altro possibile. Il Papa non ha aspettato l’ecatombe per iniziare una nuova cultura, fin dal primo giorno ha infranto tutti i pregiudizi e ci ha detto che questi uomini forse vanno guardati con uno sguardo diverso.