Attualità

L'intervista. «Ma non tutto è sintetizzabile in un numero»

Nicoletta Martinelli giovedì 8 maggio 2014
«L’istruzione e l’educazione viaggiano su strade affiancate: capita che i percorsi si incrocino e si sovrappongano, che diventino – è l’eventualità migliore – coincidenti. Molto più spesso, si limitano a correre paralleli, senza avvicinarsi mai». Duccio Demetrio – che insegna Filosofia dell’educazione all’università Bicocca, a Milano – invita ad andare oltre le classifiche, viziate da un eccesso di sintesi, capaci di fotografare solo ciò che è misurabile. Cioè, nel caso della scuola, ciò che si basa sulla nozione, sulla trasmissibilità di conoscenze uguali per tutti, la cui assimilazione deve essere dimostrabile e valutabile secondo standard precisi. «Non è un caso – secondo Demetrio – che ai primi posti della classifica Economist-Pearson ci siano Paesi asiatici che obbediscono a un modello educativo molto autoritario, dove solo oggi si affacciano libertà e diritti. Votati all’efficientismo». Dove, e non solo nella scuola, chi non ce la fa viene abbandonato al suo destino.«È una triste constatazione ma l’educazione – continua il filosofo – pare non avere più diritto di cittadinanza nella scuola. È stata espulsa, relegata ai margini, sacrificata a un’idea di apprendimento e di istruzione che premia l’efficientismo e la nozione». Che si possono ridurre e sintetizzare in cifre, permettono di stilare classifiche, assegnare meriti, segnalare demeriti. «È sempre più evidente – prosegue Demetrio – la discrasia tra due opposte concezioni di educazione. Una pedagogia attivista che favorisce la relazione, rispetta i tempi di maturazione e con arte maieutica cerca di far emergere le potenzialità di ciascuno, e una pedagogia didatticistica che punta tutto sul dato. Su quelle conoscenze che, per prime, vengono dimenticate».