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Intervista. Calenda: «Patto con Fi? No ad accrocchi. Contrari all'elezione del premier»

Marco Iasevoli venerdì 16 giugno 2023

Calo Calenda

«Il berlusconismo e l’antiberlusconismo sono le due malattie degli ultimi 30 anni. Noi siamo quelli che vogliono uscire da questa fase, ed evitare che si entri in altri 30 anni di contrapposizione sterile. E lo vogliamo fare andando a recuperare i voti dei cittadini, non con gli accrocchi e i trasformismi parlamentari». Carlo Calenda, leader di Azione, si sfila ufficialmente dal dibattito sul post-berlusconismo, almeno per come, a suo avviso, è stato impostato. «Noi dobbiamo capire, e dobbiamo spiegarlo agli italiani, che mentre in questi 30 anni ci si divideva per Berlusconi e contro Berlusconi, ci siamo persi la sanità pubblica, la scuola pubblica, la capacità di spendere dei soldi come quelli del Pnrr... È accaduto perché si è portato il Paese a discutere di idiozie mentre il merito dei problemi non veniva affrontato. Se sono in politica è solo per un motivo: operare un cambiamento culturale del voto, perché se non succede questo ci vorranno sempre due anni per una mammografia e continueremo ad avere il numero più basso di laureati in Europa. Ho in mente questo schema qui, nessun altro: costruire una grande area centrale moderata e riformista. Se non riuscirò a farlo, mi dedicherò ad altro».

Il vostro sì alla riforma Nordio però viene visto come un tentativo di parlare all’elettorato berlusconiano...

La riforma Nordio la votiamo perché nel merito ci convince e rispecchia le nostre proposte sulla giustizia. Punto. Così come siamo pronti a convergere in qualsiasi momento con le altre opposizioni sul salario minimo, partendo dalla nostra proposta agganciata ai contratti, perché ci sono 2,5 milioni di poveri che lavorano. Noi ragioniamo così, nel merito.

Il dialogo con il centrodestra proseguirà sull’elezione diretta del premier?

Siamo per il premierato ma senza elezione diretta. Bene l’indicazione del presidente del Consiglio e la possibilità di sostituirlo con la stessa maggioranza attraverso la sfiducia costruttiva. L’elezione diretta ha due problemi: se il premier è un disastro umano non puoi cambiarlo e, secondo, il presidente della Repubblica non conterebbe più nulla.

Su questo siete più vicini al Pd. Mentre con M5s proprio non riuscite a dialogare...

Con loro non abbiamo nulla in comune. E tuttavia, ci tengo a dirlo, in pandemia, pur essendo contro il Conte-2, ho sostenuto le loro misure. L’idea delle Regioni a semaforo la suggerimmo noi.Ripeto: la rivoluzione culturale è guardare al merito delle cose.

Il vostro progetto di centro si è un po’ appannato. Come lo vuole rilanciare?

Parliamoci chiaro: è fallito un grande progetto politico perché Renzi non lo voleva e ha preferito tenersi le mani libere. Ora riapriremo un cantiere con Emma Fattorini, Mara Carfagna, Mariastella Gelmini, Matteo Richetti per coinvolgere il mondo popolare orfano di rappresentanza. Vogliamo creare una grande forza politica plurale in cui stiano insieme liberali, riformisti e popolari, culture politiche orfane sia nel Pd sia a destra. Sono le tre culture politiche matrice dell’Europa e se non stanno insieme verranno messe in minoranza da sovranisti e populisti. Il problema è trovare compagni di viaggio che non vogliano fare solo un cartello elettorale. Ma continuiamo a credere che dal centro si possa rifondare la politica.

Non pensa sia ormai troppo ambizioso come obiettivo?

Quando sono andato al Mise mi dicevano che l’Italia era ingestibile e invece ho fatto Industria 4.0 e tutto quello che avevo in mente. Sa perché? Perché nella vita lavoro, mentre in politica ci sono persone che hanno fatto solo conferenze stampa.

Insisto: in vista delle Europee, non le converrebbe proporre una federazione con FI e altre formazioni moderate?

La federazione unica con FI non esiste, loro stanno con la destra. Converrebbe così? Io ricordo che Meloni all’inizio della scorsa legislatura era al 4%. Bisogna tenere una rotta.

Ppe e Conservatori pensano a una collaborazione a Bruxelles, i liberali contribuirebbero se i loro voti fossero decisivi per costituire una maggioranza?

No, non contribuirebbero. E nemmeno i popolari sono in questa prospettiva. Weber non è il Ppe. Al contrario, bisogna insistere sull’attuale maggioranza europea, attraverso la quale siamo arrivati a un passo storico, fare debito comune.

A Roma si è appena consumata una tragedia legata ai social network. Il vostro partito è molto duro su questi temi...

Due settimane fa abbiamo presentato una proposta molto chiara: divieto di usare i social ai minori di 13 anni e consenso dei genitori dai 13 ai 15 anni. Ma bisogna andare oltre e aiutare le famiglie a proteggersi. In linea con il Digital act, dobbiamo affermare che le piattaforme sono responsabili di ciò che si pubblica. Dicono che non possono controllare, ma mentono. La politica dimostri che il mondo digitale non è anarchia.