A sorpresa, il Pdl apre le porte alle richieste di Fini e dei suoi sulle intercettazioni. Prima in un vertice al Senato con il ministro Alfano, poi nella riunione della Consulta sulla Giustizia guidata da Ghedini, sono stati messi a punto alcuni principi (che si tradurranno in altrettanti emendamenti) fatti apposta per venire incontro alle richieste dei "ribelli", anche a costo di annacquare in alcuni punti le iniziali intenzioni. Il comunicato parla di «modifiche» per ottenere «un’ampia condivisione». La notizia è abbastanza sorprendente, poiché ancora ieri mattina gli esponenti del partito fedeli a Berlusconi ribadivano la linea dura nei confronti dei dissenzienti. Un dirigente proveniente dalle file di An, ma schierato contro Fini, come il ministro Altero Matteoli, ad esempio, andava ripetendo che le critiche dei finiani erano strumentali e che al momento del voto la minoranza si sarebbe dovuta «adeguare alle decisioni prese a maggioranza». Ma lo scenario, ormai, sembra essere completamente mutato. Perché il doppio incontro di ieri ha aperto, anzi spalancato le porte alle obiezioni del presidente della Camera e della sua pattuglia. Il comunicato di ieri, emesso dalla consulta, è tutto un programma: si «ringrazia il relatore» del provvedimento al Senato, senatore Centaro, per il lavoro svolto fino a quel momento e «si approva la linea illustrata dall’on. Ghedini». Come dire: da oggi si cambia musica. E la musica cambierà sui termini delle intercettazioni (Gasparri ammette: «Andremo oltre i 75 giorni», stabilendo delle proroghe di 48 ore in 48 ore), sulla norma transitoria (che voleva applicare le disposizioni previste dalla legge anche ai processi in corso), sugli ascolti ambientali e probabilmente sulla lista dei reati intercettabili. Stralcio in vista, infine, per la contestata norma sul segreto di Stato sulle telefonate degli 007. I finiani in pubblico sono prudenti, parlano di «passi in avanti» e dicono di «attendere di leggere il testo degli emendamenti». Ma in privato hanno festeggiato quella che hanno definito la loro «prima vera vittoria sul campo», avvenuta, sottolineano, «anche grazie a gravissimi errori di strategia» dei berlusconiani. Una vittoria, come dice Fabio Granata, vicepresidente dell’Antimafia, che «premia la nostra ostinazione, ma non solo la nostra». Riferimento, con ogni probabilità, al ruolo di suggeritore, prudente ma fermo, avuto nell’intera vicenda dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. L’intesa, insomma, sembra che abbia molti padri: Fini, Napolitano, Ghedini (che è il plenipotenziario di Berlusconi in materia di Giustizia). E non da ultimo, anche dopo le polemiche con il suo "collega" di Montecitorio, il presidente del Senato Renato Schifani che ha lavorato di cesello nella fase finale della svolta con l’obiettivo di raggiungere «un avvicinamento» delle parti. Anche le opposizioni, ieri, sia pure prudentemente, hanno fatto sapere che giudicano le aperture della maggioranza con un certo sollievo. Pur confermando che comunque, il loro sarà un voto negativo. E assistendo, divertiti e preoccupati, alle contorsioni di maggioranza che, come dice D’Alia (Udc) «sembra in preda a una crisi di nervi e in stato confusionale e non riesce a fare un percorso parlamentare lineare e trasparente». Sullo sfondo non è però del tutto tramontata l’idea, accarezzata da Berlusconi varie volte, di lasciar finire il provvedimento, una volta approvato al Senato, su un binario morto: «Con tutti questi cambiamenti – ha ribadito anche di recente il premier ai suoi interlocutori – rischia di non servire più a niente».