Troppe volte la trascrizione di un’intercettazione finisce col trasformarsi in una ferita inguaribile. Troppo spesso emozioni, sfoghi, confidenze, quasi sempre fuori contesto, finiscono sui giornali». Antonello Soro, senza cambiare tono di voce, scandisce il suo 'basta' con parole nette: «È un’intrusione dolorosa nella vita di cittadini spesso estranei alle indagini e ora servono regole». Il Garante per la Privacy ragiona a voce alta. «Le intercettazioni sono decisive nella lotta al crimine. Ma proprio perché sono uno strumento non sostituibile, proprio perché non possiamo farne a meno, abbiamo il dovere di spazzare via ogni ombra». È un messaggio a magistrati e a giornalisti. È un’indicazione netta che inevitabilmente si lega al Consiglio dei ministri del 30 giugno e a quell’annunciata riforma della giustizia che potrebbe disegnare una svolta anche sul tema intercettazioni.
Le procure usano troppo le intercettazioni? Tutti noi sappiamo quanto le intercettazioni siano decisive nella lotta al crimine. Ma fissato questo punto voglio ricordare uno degli ultimi pronunciamenti della Corte di giustizia europea: misure investigative così invasive devono essere sempre selettive. Già selettive, perché uno strumento prezioso di lotta al crimine non può trasformarsi in uno strumento di sorveglianza massiva.
Qualcuno pensa di limitare la 'libertà' dei magistrati? La strada è un’altra: fare uno sforzo in più per mettere le intercettazioni in sicurezza. Per proteggerle. Tutte. Senza nessuna esclusione. E proteggerle vuol dire accessi selettivi e tracciabili, protezione anche fisica delle sale d’ascolto... Insomma una svolta: le intercettazioni devono essere al sicuro, non ci devono essere più fughe di notizie.
A luglio dello scorso anno avevate dato alle procure 18 mesi per centrare questo obiettivo. C’è stata più di un’incomprensione, ma oggi c’è un tavolo di lavoro e un confronto governo-magistrati- Garante che può dare buoni risultati. Che può garantire insieme la riservatezza delle persone ma anche delle indagini.
Però oggi le intercettazioni accompagnano ogni provvedimento cautelare e sono dunque a disposizione delle parti...Il ministro Orlando ha la testa sul problema. Sta lavorando, sta ipotizzando una risposta che contribuisca ad alzare il livello di riservatezza. E una strada potrebbe essere quella di riportare nei provvedimenti cautelari solo un riassunto delle intercettazioni, anziché l’integrale.
Sarebbe un passo avanti importante? Sì, sarebbe un passo avanti. In ogni caso penso che si porrà sempre, con qualunque disciplina rispettosa della Costituzione, la necessità, da parte di tutti gli attori (magistrati, avvocati, giornalisti) di un bilanciamento tra diritti fondamentali: privacy, sicurezza, libertà di informazione. Esiste allora un gran bisogno di responsabilità da parte di tutti.
Per i giornalisti che può voler dire responsabilità? Aggiornare un codice deontologico vecchio di 16 anni. Possono farlo muovendosi autonomamente ma fino ad ora non l’hanno fatto e hanno fatto male. Questa indisponibilità può aprire le porte a un intervento del legislatore: se non si esercita l’autodisciplina prima o poi arriva una norma più rigida.
La accuseranno ancora di voler mettere il bavaglio alla stampa. L’idea del bavaglio è estranea alla mia cultura. Chi informa i cittadini svolge un compito insostituibile, esercita doverosamente i diritti fissati dall’articolo 21 della Costituzione. Ma il giornalismo da trascrizione non mi piace. Può fare male, può sfregiare la vita di tante persone. E allora insisto chiedendo un di più di riflessione e di responsabilità: ci sono persone che finiscono intercettate in vicende che non c’entrano nulla con la loro vita e che parlano di cose irrilevanti ai fini dell’inchiesta. Non va bene. Insisto, non va bene. E poi anche un indagato ha diritto al rispetto della propria dignità.
Crede che qualche volta venga calpestata? Lei no? Ho ascoltato su tutti i telegiornali l’interrogatorio di Claudio Scajola e ho solo un aggettivo per descrivere quel minuto di televisione: una barbarie. Mettere in onda di un detenuto in quel momento di assoluta fragilità ha fatto sprofondare il livello di giornalismo. A che serviva dare alla stampa l’audio di quell’interrogatorio? Cosa aggiungeva alla qualità e all’essenzialità dell’informazione? Non bastava la sintesi di quello che Scajola aveva detto? La verità è che sono cresciute forme distorsive di giornalismo, che assecondano e incoraggiano le curiosità morbose dei lettori, senza riflettere su quanto si possa danneggiare, in modo irreparabile, la dignità di una persona e pregiudicare per sempre la sua vita di relazione.
Crede di essere mai stato intercettato? Non lo so, ma le confesso che ogni tanto ci penso e mi inquieta l’idea che la mia vita privata possa subire un’intrusione. Inquieta me e inquieta gli italiani. Non ho mai trovato uno che non abbia pensato al rischio di una intercettazione come a una cosa sgradevole. Ma purtroppo si è meno sensibili quando il problema riguarda gli altri.