Milano. Arrestati due jihadisti a Milano
L'operazione dell'antiterrorismo tra Milano e Perugia
Un campionario d’odio universale e di ostentazione dell’orrore. È ciò che gli investigatori della sezione antiterrorismo della Digos milanese si sono trovati davanti quando hanno decrittato, prima con un trojan e successivamente con il sequestro, i contenuti dei dispositivi elettronici dei due lupi solitari dell’Isis arrestati ieri, un muratore e un piccolo imprenditore edile, di Monza e di Sesto San Giovanni (hinterland nord di Milano), uno egiziano italo-egiziano con doppia nazionalità. Entrambi formalmente integrati, con famiglia e lavoro. Alaa Refaei il brianzolo, 44 anni, padre di quattro figli, un anno fa ha venduto il suo furgone per problemi economici ed è andato a lavorare come manovale dal collega Gharib Nosair, 49 anni, di Sesto San Giovanni, che dopo averlo indottrinato, secondo quanto risulta dalle indagini, gli ha trovato un impiego. Nel telefono e nel pc di Nosair, tra video e proclami che inneggiano allo stato islamico, è stato trovato anche un video in cui «si vede un gruppo di bambini seduti per terra in un luogo deserto e arido, con il volto scoperto, vestiti tutti nello stesso modo», scrive il gip milanese Fabrizio Filice nell'ordinanza dei due presunti terroristi islamici. «Il video è stato girato da sopra facendo vedere un luogo abbandonato che sembra un monumento o resti di un castello nel mezzo del deserto, verosimilmente in Siria».
«Davanti ad ogni bambino c’è un libro del Corano. Poi si mettono in cerchio e si allenano alle arti marziali seguendo un adulto con il volto coperto , in sottofondo il nasheed (il canto) del califfato». Una vittima viene trascinata fuori da un buco, è costretta a presentarsi con nome, data di nascita e qualifica: «lavoravo con l’anti-terrorismo nella Grande Siria». Come accuse a suo carico «vengono mostrati nel video foto di altri bambini piccoli e neonati feriti gravemente in guerra».
Il rientro nella caverna
Il giudice e il boia è il bambino stesso: «Punta la pistola sulla testa (del condannato) e spara due volte, poi passa la pistola al prossimo bambino», il quale, in quest’educazione alla spietatezza «entra in una caverna» invece di uscirne, ma, quando vi esce, tiene incatenata solamente «un’altra vittima». Anche il secondo prigioniero siriano è costretto a declinare ruolo e generalità, poi l’esecuzione sommaria. E così via con un altro bambino che esce dalla caverna con un altro prigioniero. Infine i bambini intonano insieme: «Ci hanno insegnato che dobbiamo conquistare l’oriente e l’occidente e che dobbiamo recuperare Al-Aqsa e l’Andalusia».
«Questo - ha spiegato il pm di Milano Alessandro Gobbis, titolare dell'inchiesta, insieme al procuratore Marcello Viola - fa capire l'attenzione quasi morbosa dell'Isis ai bambini. È un tema ricorrente quello dei bambini che vengono addestrati all’uso di armi e alla violenza».
L’antisemitismo
«Per i figli dell’Ebraismo», è il titolo di questo post che volevano condividere su Facebook. I due arrestati «rivolgevano minacce concrete nei confronti degli ebrei, con passaggi anche piuttosto forti» ha detto il procuratore di Milano, Marcello Viola, anche se gli inquirenti hanno specificato che si tratta di minacce (con insulti: «Scimmie, maiali, vi sgozzeremo come pecore») comunque generiche, per il procuratore di Milano Marcello Viola, tutto ciò, compresa l'aggressione di sabato in viale Monza, "è spia di una situazione di gravità che è sotto gli occhi di tutti"
Le minacce a Meloni
Il più giovane tra i due arrestati, Rafaei, è anche quello che ha prestato il giuramento di fedeltà al califfato, trovato su uno dei suoi dispositivi, che viene anche intercettato mentre minaccia la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. «Il 3.10.2022, rispondendo ad un post di commento a un video nel quale vi era l’immagine della Presidente del Consiglio con il Senatore Silvio Berlusconi scrive: “Non ti preoccupare per noi, sappiamo benissimo come zittirli e fermarli al momento giusto… viviamo con loro da banditi”. Per bandito l’interprete ha inteso la parola “Baltagiya” della lingua egiziana che originariamente significava “sicario”, ma che ha finito con l’indicare un teppista appartenente a una banda».
Le persecuzioni dei cristiani
Tra i vari comunicati estrapolati dagli investigatori in collaborazione con i colleghi di Perugia (la segnalazione è partita da lì) della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione e la Postale vi è quella relativa all’attacco di militanti Isis alla missione comboniana in Mozambico – avvenuto tra il 6 ed il 7 settembre 2022 –in cui perse la vita la suora italiana Suor Maria De Coppi colpevole di essere «troppo impegnata nella diffusione del cristianesimo». «I soldati del califfato - viene riportato nell’ordinanza - hanno attaccato il villaggio cristiano di Chibin, regione Mimba di Nampula, uccidendo quattro cristiani, tra cui una suora italiana coinvolta nella diffusione del cristianesimo. Hanno incendiato la chiesa, mezzi di trasporto e altri beni appartenenti alla missione cristiana che si trova nella regione. Con l’aiuto di Dio Altissimo, ieri i soldati del califfato hanno attaccato i cristiani miscredenti nel villaggio Namilumbi nella regione di Macomia in Capudegado, hanno decapitato due cristiani e incendiato venti delle loro case».
Le rimesse per le vedove di guerra
Entrambi gli indagati per associazione finalizzata al terrorismo internazionale hanno finanziato lo Stato islamico, trasferendo denaro in Yemen, Palestina, Libano Egitto e Siria e si vantavano di avere disponibilità di armi. Il più giovane dei due, dopo aver prestato il giuramento di fedeltà stava organizzando un viaggio in Turchia, probabilmente per unirsi ai guerriglieri oltre la frontiera siriana. «Salvato nella rubrica telefonica di Refaei è stato trovato il di Sayad Abu Usama: secondo l’agenzia americana Naval Criminal Investigative Service è un membro dell’Isis coinvolto nell’attività di assistenza finanziaria alle donne dell’Isis. Usama «ha chiesto all’indagato un contributo economico necessario per la liberazione delle “sorelle” prigioniere nel campo di “Al-Hawl situato nel Nord-Est della Siria, al confine con l’Iraq, sotto il controllo delle autorità curde nel quale sono ospitate più di 70.000 persone, tra cui oltre 11.000 familiari, in gran parte mogli e figli di combattenti dell’Isis»
Il ricorso alle armi
"Io ho sparato, all’inizio avevo paura ma poi mi sono abituato". E ancora: «Sparare con un’arma da fuoco ti fa avere un cuore di ferro. Qualsiasi persona che spara diventa rigida. Perché io ho sparato e all’inizio ho avuto paura, ma dopo mi sono abituato, hai capito?» così Gharib Nosair, uno dei due terroristi internazionali arrestati ieri dalla Digos di Milano. L’indottrinatore. Refaei invece, il suo primo adepto che ha giurato fedeltà all'Isis, sarebbe riuscito a radicalizzare anche la sua famiglia. In un'altra intercettazione viene invece detto che per loro contano "le casse di munizioni", non quelle delle "schede elettorali". Secondo gli investigatori, anche se non è stata riscontrata la presenza di armi, è molto probabile il fatto che le sapessero usare e che si siano addestrati.