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L'intervista. Fava: «L'Inps cambierà. Costruiremo un nuovo welfare generativo»

Francesco Riccardi sabato 6 luglio 2024

Il presidente dell'Inps Gabriele Fava

«Il core business o meglio la missione istitutiva dell’Inps è essere al servizio dei cittadini: gestendo le risorse pubbliche e private, erogando pensioni, sussidi e assicurando servizi di qualità. Poi, grazie all’enorme mole di dati che tratta, alla capacità di analisi e alle competenze del suo personale, funge da supporto al decisore politico, al legislatore, senza sostituirsi ad esso attraverso una fattiva e armonica collaborazione”. Avvocato, fondatore dello Studio legale Fava & Associati, esperto di relazioni industriali e docente a contratto di Diritto del lavoro all’Università Cattolica di Milano, il nuovo presidente dell’Inps Gabriele Fava, partendo dal lavoro fatto dai suoi predecessori, coltiva l’ambizione non solo di incrementare l’efficienza dell’Istituto di previdenza, contribuendo così a migliorarne il bilancio, quanto soprattutto di farne il motore di un nuovo “welfare generativo”.

Presidente, chiariamo subito: come sta l’Inps? È a rischio? In dieci anni il patrimonio dell’Istituto passerà da un valore positivo di 23 miliardi a uno negativo per 45 miliardi, ha avvertito il Consiglio di indirizzo e vigilanza.

In realtà l’Inps sta bene, è un’organizzazione che per la sua complessità funziona. Serve abitualmente oltre 42 milioni di cittadini attraverso 440 prestazioni socio-assistenziali e previdenziali; opera con una rete di 547 sedi dislocate sul territorio nazionale che funzionano grazie ad oltre 27mila dipendenti. Ha un alto livello di innovazione tecnologica, anche se come tutte le organizzazioni complesse è perfettibile. Per quanto riguarda il patrimonio, si tratta di valori previsionali ben noti già prudenzialmente valutati negli strumenti economico-finanziari dell’Istituto e in linea con le previsioni macroeconomiche della programmazione di bilancio dello Stato. L’Inps non fallirà: i conti sono in ordine e il nostro mandato è proprio quello di intervenire per rafforzare l’Istituto per noi ora e per le generazioni future.

I nodi dell’invecchiamento della popolazione e della bassa natalità rendono comunque problematiche le prospettive della previdenza: come e dove agire? Facendo crescere l’occupazione? Facilitando l’immigrazione regolare? Favorendo le famiglie e quindi la ripresa delle nascite?

Occorre certamente agire in tutti questi ambiti. Il compito, mio personale e dell’Inps, è aiutare il legislatore a mettere in campo le strategie più efficaci per raggiungere l’obiettivo di un aumento della base occupazionale e quindi dei contributi previdenziali. Per garantire maggiore sostenibilità all’intero sistema e pensioni di importo equo per i cittadini. In questa direzione vanno anche una immigrazione meglio governata e aiuti concentrati sulle famiglie. La mia idea è in particolare quella di ripensare il rapporto dell’Istituto con i cittadini e sviluppare un vero e proprio “hub del welfare” (un centro di raccolta e distribuzione di risorse e servizi, ndr).

Che cosa vuol dire in concreto welfare generativo?

Significa anzitutto passare da un sistema assistenziale, o di mera gestione pubblica delle risorse, ad uno in grado di personalizzare le prestazioni sul ciclo di vita dei cittadini, in modo che possa rappresentare un valore per le persone stesse e per il Paese. Un sistema che risponda ai nuovi bisogni di welfare. Le esigenze, infatti, sono diverse per i giovani, le coppie, le famiglie con e senza bambini, gli anziani, i lavoratori dipendenti e autonomi, le donne, le persone con disabilità.

Proviamo a fare qualche esempio: per gli anziani, oltre al pagamento delle pensioni e degli altri sussidi, che cosa potrebbe fare l’Inps?

Una premessa e alcune piste di intervento. Anzitutto i dati: nel 2050 i cittadini over 65 rappresenteranno fino al 35% della popolazione nazionale e questo determina la necessità di ripensare l’intero sistema di welfare. Dal 2010 al 2022, la quota di “over 50” sugli occupati totali è aumentata dal 26% al 39%. L’impatto degli ultra 65enni sul Pil si stima sia compreso tra il 20% e il 30% del totale. C’è dunque una “silver economy” (l’economia d’argento dei meno giovani, ndr) che va valorizzata. Un primo intervento sarà agevolare il lavoro di quelli che mi piace chiamare “diversamente giovani”. Chi vuol restare attivo nel mercato deve essere aiutato con politiche di “age management” (gestione e valorizzazione delle diverse età, ndr) e per l’invecchiamento attivo.

Ma non tutti possono o vogliono lavorare oltre l’età della pensione…

E infatti pensiamo anche ad altri interventi. Ad esempio sul tema della casa. È appena partito un progetto di “Senior housing” targato Inps, Gruppo Cdp, Gemelli e Investire Sgr che coinvolge istituzioni, primari operatori del settore immobiliare e dei servizi sociosanitari: un nuovo modo di concepire la residenzialità degli over 65 autosufficienti. La prima iniziativa di questo progetto, che abbiamo chiamato “Spazio Blu”, verrà implementata a Roma, in un complesso immobiliare del quartiere Camilluccia-Trionfale, di proprietà di un fondo immobiliare controllato da Inps e gestito da Investire Sgr. Il valore del piano è di 130 milioni di euro, di cui 30 per la riqualificazione. Interveniamo su nove edifici con circa 300 appartamenti, che verranno ristrutturati per adattarli ai nuovi bisogni attraverso interventi di efficientamento energetico e l’utilizzo della domotica per favorire l’accessibilità. Al piano terra verranno creati spazi dedicati alla socializzazione, alla salute e alla cultura con sala lettura, infermeria di condominio, una sala cinema. Un progetto non solo per gli anziani, però. Stiamo studiando infatti il giusto mix di abitanti tra giovani e “meno giovani” anche per rafforzare il patto intergenerazionale.

Ecco, appunto, i giovani rischiano di essere la categoria più penalizzata sul piano previdenziale per la discontinuità dei contratti e per la struttura del sistema contributivo. In quale direzione occorre agire? Serve una riforma che preveda almeno una pensione minima o quali altri interventi immediati sul piano del mercato del lavoro?

Noi siamo un istituto attuatore: le scelte politiche spettano al legislatore. Ciò che noi possiamo e anzi dobbiamo fare è coordinare tutti gli interventi di politiche passive e attive del lavoro, di formazione, di orientamento, di conciliazione per rafforzare le loro competenze e favorire così l’occupazione, regolare e continuativa dei giovani e delle donne. Più cresce l’occupazione di qualità, più si rafforza il sistema previdenziale. Da ottobre partiremo poi con un grande progetto di educazione previdenziale per i giovani con un tour di incontri nelle scuole e nelle università, assieme alle più grandi aziende del Paese e ai tecnici dei Ministeri dell’università e dell’istruzione. La stretta connessione tra politiche attive e passive, assieme alla integrazione delle provvidenze sul nucleo familiare, caratterizzano anche gli interventi di contrasto alla povertà.

Il lavoro nero è alla base di drammi enormi e rappresenta un costo per tutta la società. L’Inps come pensa di rafforzare la vigilanza e cos’altro può fare?

L’Inps è in prima linea nel contrasto al caporalato e a tutte le forme di lavoro irregolare. Oltre a una collaborazione sempre più stretta con gli ispettori dell’Inl, con l’Inail, i Carabinieri e la Guardia di Finanza, implementeremo un sistema di vigilanza più “maturo”, di prevenzione, che funzioni soprattutto ex-ante piuttosto che con controlli ex-post.

Ma già i controlli possibili sono insufficienti rispetto al numero di aziende presenti in Italia, non si rischia così di allentare troppe le maglie?

No, sia chiaro: la repressione delle irregolarità resta, ma noi puntiamo soprattutto a svolgere un ruolo di prevenzione, mediante l’affiancamento delle imprese. Ma questo non vuol dire allentare la presa sul tema evasione o sicurezza. Anzi, assumeremo altri ispettori e negli ultimi mesi i dati dei controlli sono in netta crescita. Nel 2023 sono stati effettuati ben 91mila attività di vigilanza documentale: il 127% in più rispetto al 2022. E lo scorso anno l’attività di vigilanza ispettiva nazionale e territoriale ha portato a risultati di produzione dell’accertato complessivo pari a 982 milioni di euro (+46% rispetto all’obiettivo fissato).

Un’altra categoria che merita particolare attenzione è quello delle persone con disabilità. In questo caso come si declina quel welfare generativo di cui parlava in apertura?

L’Inps riceverà a regime 250 milioni all’anno per le azioni legate alla riforma della disabilità – approvata sotto impulso della ministra Alessandra Locatelli – per un nuovo e concreto approccio al tema dell’inclusione. L’istituto accompagnerà questo percorso sia finalizzando in modo efficace ed efficiente le risorse assegnate, ad esempio reclutando nuovo personale medico e amministrativo. Sia soprattutto rilasciando secondo un serrato cronoprogramma il Portale unico della disabilità, in cui le persone interessate potranno trovare tutte le informazioni e richiedere direttamente i servizi dedicati alla loro condizione. Con maggiore facilità e minori disagi.