Un gommone con una cinquantina di migranti a bordo è stato soccorso da motovedette della Guardia costiera e della Guardia finanza a 30 miglia a Sud-Est di Lampedusa, in acque di competenza maltese. Il natante era scortato da un'unità militare di Malta, che si è allontanata dopo l'intervento italiano. La prima a giungere sul posto è stata la motovedetta della Guardia di Finanza, poi raggiunta da quella della Guardia costiera che prima di salpare aveva imbarcato anche un medico per prestare subito assistenza agli immigrati. Gli extracomunitari sono stati poi presi a bordo dalle due unità, che si sono dirette a Porto Empedocle (Agrigento).Sul gommone con 57 migranti, in gran parte eritrei, soccorso questa mattina da un pattugliatore della Guardia di Finanza gli investigatori hanno trovato alcuni giubbotti di salvataggio in uso alla Marina Militare maltese. Il portavoce delle Forze Armate dell'isola Stato, Ivan Consiglio, non ha voluto rilasciare fino ad ora alcuna dichiarazione circa il ruolo dei maltesi nell'operazione. Anche in occasione dell'intervento di giovedì scorso le Fiamme Gialle avevano trovato sul gommone dei cinque eritrei tratti in salvo alcuni salvagente consegnati ai naufraghi da una motovedetta maltese, che li aveva pure riforniti di carburante. Lo ha accertato la Procura di Agrigento che sta indagando sull'ultima tragedia dell'immigrazione avvenuta nel Mediterraneo.
Le indagini sulla tregedia degli eritrei. Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e omicidio colposo plurimo: si chiude con queste ipotesi di reato il rapporto stilato dalla Guardia di finanza e dalla Polizia – consegnato ieri mattina alla Procura di Agrigento – sulla tragedia raccontata dai cinque eritrei soccorsi giovedì scorso a Lampedusa, che hanno raccontato la morte in mare di settantatré loro compagni nel Canale di Sicilia. Gli inquirenti stanno anche valutando la condotta della Forze armate maltesi che – sempre stando al racconto dei superstiti – avrebbero incrociato il gommone e dato agli eritrei il carburante per proseguire la traversata. A carico delle autorità de La Valletta, tenute (secondo quanto prevede il Codice internazionale della navigazione, a prestare soccorso a chi si trova in difficoltà in mare), potrebbe ipotizzarsi il reato di omissione di soccorso. Tuttavia il nodo centrale della vicenda ruota tutto attorno alla competenza territoriale sull’indagine. Fermo restando l’obbligo del soccorso, la Procura sta cercando di capire in quale punto la motovedetta maltese abbia incrociato gli eritrei: se, cioè, in acque maltesi, e in questo caso sulla vicenda dovrebbe indagare la magistratura de La Valletta, o se in acque internazionali. «Allora – ha spiegato il Procuratore di Agrigento, Renato Di Natale – sarebbe ancora più complesso stabilire l’autorità giudiziaria titolare dell’indagine ». A sua volta, le autorità di Malta, secondo le quali gli eritrei al momento dell’incontro con la motovedetta erano in buone condizioni di salute, hanno fatto sapere che il gommone sarebbe stato intercettato in acque libiche. «Ciò – commenta Di Natale – non significa comunque che, se i superstiti erano in difficoltà e stavano male, i maltesi non dovessero prestare soccorso». I soccorsi a uno dei cinque eritrei giunti giovedì scorso a Lampedusa (Ansa) Il fascicolo aperto negli uffici giudiziari agrigentini, che ipotizza appunto il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e l’omicidio colposo plurimo, è stato affidato al sostituto Procuratore Santo Fornasier: adesso – come ha spiegato il capo della Procura – cominceranno gli accertamenti sul racconto degli eritrei, che hanno confermato quanto già dichiarato ai rappresentanti delle organizzazioni umanitarie presenti a Lampedusa. I cinque immigrati ieri hanno intanto lasciato l’isola siciliana. Due di loro, l’unica donne e un uomo, sono stati ricoverati nell’ospedale 'Vincenzo Cervello' di Palermo, mentre il terzo adulto è stato condotto in un centro di accoglienza, i due minorenni (entrambi diciassettenni) in una comunità protetta. E nel centro di accoglienza i primi tre sono stati già ascoltati, nel pomeriggio, dal sostituto e dal Procuratore di Agrigento. Anche perché i cinque saranno presto iscritti nel registro degli indagati, sebbene lo stesso Procuratore Di Natale parli di «un atto dovuto» (in base alla normativa recentemente introdotta dal governo), in attesa di verificare se i cinque eritrei abbiano il diritto allo status di rifugiato politico. Fra l’altro – ha aggiunto il capo degli uffici giudiziari – «quella dei respingimenti è una questione tutta politica», a proposito dell’apertura di un’inchiesta sui cosiddetti respingimenti sommari, effettuati, cioè, senza accertare la nazionalità dei migranti e quindi senza valutare il diritto a chiedere asilo politico. Così – ha concluso Di Natale – «potremmo valutare se ci siano spazi per ritenere che siano stati commessi reati, ma al momento non c’è nulla verso un’ipotesi simile». Un’ulteriore precisazione sulla posizione dei cinque eritrei arriva dal Prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento per l’immigrazione al Viminale: «Non rischiano nulla se presentano la richiesta di asilo che, generalmente, per i Paesi in particolari situazioni di disagio viene accolta», ha fatto sapere. «Il provvedimento avviato – ha spiegato – è sospeso fino alla definizione della domanda d’asilo. L’Italia ha aderito ad una direttiva Ue che prevede l’asilo politico non solo per le persone perseguitate politicamente, ma anche per chi proviene da zone di guerra. Gli eritrei godono di questo tipo di protezione ma devono fare domanda d’asilo».