Prato. Morte in fabbrica, l'incubo sicurezza. «La vera lotta è per il lavoro buono»
I soccorsi all'esterno dell'azienda tessile dove lavorava Luana, l'operaia di 22 anni, morta dopo essere finita dentro l'ingranaggio dell'orditoio
Sarà la sicurezza sul lavoro la vittima sacrificale della ripresa post-pandemica? È questo l’interrogativo più grande aperto dalla tragedia di Montemurlo, in provincia di Prato, dove una ragazza, Luana D’Orazio, è morta lunedì inghiottita da una macchina. È emblematico che tutto sia avvenuto in questo angolo di Toscana, nei distretti del tessile dove la concorrenza è sfrenata, il tessuto produttivo parcellizzato e la manodopera produce a ritmi serrati.
«Sulla sicurezza abbiamo fatto importanti passi in avanti – premette Mirko Zacchei, segretario della Femca Cisl di Firenze e Prato – . I corsi vengono fatti, i macchinari sono stati rinnovati, a partire dagli stessi orditoi. Tessitura e filatura, in proporzione, sono settori più pericolosi di quello in cui è avvenuto il draammatico incidente di Luana. Eppure il problema c’è: si corre troppo, si corre sempre. Per anticipare altri produttori, per garantirsi margini». La competizione delle aziende cinesi, da sempre forte sul territorio, non spiega tutto. Anzi. «Stacca, leva, metti: sono le parole d’ordine per accelerare i ritmi produttivi. Ci sono mille modi per fare in fretta» osserva Zacchei.
È così che «una giovane, una donna, una lavoratrice viene travolta da una macchina, da un’organizzazione del lavoro che per quanto potesse essere improntata sulla sicurezza si è dimostrata "insicura", non adatta al punto da trascinarla verso la morte» osserva adesso Michele Del Campo, responsabile dell’ufficio di pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Prato.
Più soli, in produzione
Sullo sfondo di questa tragedia, la seconda in pochi mesi nel distretto, preceduta da un analogo incidente mortale che ha coinvolto un altro giovanissimo, ci sono fenomeni chiarissimi: la diocesi li mette in fila, parlando di «destrutturazione del lavoro dettata dalla crisi, continua riduzione dei costi, de-professionalizzazione, mala-formazione, individualizzazione».
Chi fa attività sindacale su questo territorio, come Zacchei, mette davanti a tutti una priorità: il cambiamento di mentalità. «Finire una produzione prima degli altri vuol dire fare più affari e spesso, per chiudere prima, si fanno più cose insieme, mentre la macchina sta correndo. Così i rischi sulla sicurezza aumentano, figurarsi adesso con i mercati sballati a causa della pandemia: un piccolo imprenditore, un artigiano, una ditta un giorno vede che la Cina apre e il giorno dopo chiude. Lo stesso vale per l’America. È un incubo. Attenzione: la sicurezza paga, perché si fanno corsi a vagonate. Lo 0,30 per cento viene investito in corsi e formazione, teorica e pratica. Ma poi è inutile cambiare la strumentazione se non si modifica la mentalità».
È la logica del profitto che resta vincente, che alimenta spesso la competizione tra produttori italiani e stranieri, che fa saltare il banco delle regole. «Quando accadono eventi così gravi e sconvolgenti si prova un forte senso di smarrimento – sottolinea il vicepresidente di Confindustria Toscana Nord, Francesco Marini –. Sembra che tutto quello che è stato fatto per la sicurezza sia stato inutile: i protocolli condivisi fra le parti sociali, la formazione, le iniziative innovative online realizzate negli anni e nelle quali abbiamo fortemente creduto, impegnandoci al massimo per rendere tutto ciò efficace».
Non è il momento per mea culpa collettivi, né per difese di categoria, si tratti di lavoratori o imprenditori. Semmai, bisogna avere il coraggio di «rimettere al centro la lotta per il buon lavoro» spiega la diocesi. «Luana è stata lasciata sola da tutti noi perché ognuno era intento a soddisfare le proprie passioni in un’assenza di condivisione di orientamenti, di orizzonti».
I piccoli e il bisogno di correre
Chi lavora nel settore del tessile sa che ci sono tanti modi per aggirare le protezioni. «Le macchine usate correttamente non fanno male alle persone». Qui però sta il problema, che torna a essere primordiale: come si lavora, con quali regole, con quale umanità. Non è giusto che il principio sia: più sei piccolo (come dimensioni d’impresa) più dovrai correre. Purtroppo, però, è così. E non solo a Prato e in Toscana.
Per questo, la sicurezza sul lavoro sarà una sfida centrale negli assetti economici del dopo-pandemia.
«Il lavoro nelle fabbriche tessili è povero, ma complesso – ripete il sindacalista –. Bisogna saper fare più cose in poco tempo. C’è maggiore frenesia e minore specializzazione». In futuro occorreranno più controlli da parte degli ispettori del lavoro (pochi) delle Asl, sarebbe necessario riflettere sulle strozzature che ci sono nella filiera, dove le multinazionali (che nella moda e nel tessile comandano, come in tanti altri business) la fanno da padrone, decidendo regole su tempi di consegna, costi e produzioni. «Non è vero che la vita di fabbrica non attrae più i giovani – dice Zacchei –. Al contrario, in tanti stanno considerando di tornare nei laboratori, sulle produzioni a mano. Il buon lavoro si può fare anche in una fabbrica buia e dimenticata. A patto però che le regole vengano rispettate È in gioco la nostra vita».