Agrigento. Incendio devasta la cooperativa Livatino, forse il dolo dietro le fiamme
In alto si vede il campo bruciato dall'incendio
Un incendio, quasi certamente doloso, ha distrutto dieci ettari di grano, pronti per la mietitura, coltivati dalla cooperativa “Rosario Livatino - Libera Terra” sui terreni confiscati alla mafia. Siamo a Naro, contrada Gibbesi, in provincia di Agrigento, e quei terreni furono confiscati proprio dal giovane magistrato ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990 e beatificato lo scorso anno come “martire della Fede e della Giustizia”.
Ma la mafia non si arrende e colpisce proprio chi concretamente ha raccolto il testimone di Livatino. Un danno considerevole, almeno 10mila euro, e una forte preoccupazione. Si tratta, infatti, del quarto incendio subito dalla cooperativa negli ultimi 3 anni e sempre nello stesso luogo, come ci spiega il presidente della cooperativa Giovanni Lo Iacono. “Sempre lì, sempre con la stessa modalità. Parte dall’interno dell’appezzamento, dal bordo di una stradella interpoderale. Il grano era pronto per essere raccolto, avevamo la mietitrebbia prenotata. Proprio come le altre volte”.
E non è certo una coincidenza. Andati in fumo più di 100 quintali di grano biologico che sarebbero stati poi utilizzati per produrre l’ottima pasta del Consorzio Libera Terra Mediterraneo, premiata come una delle migliori d’Italia. C’è l’assicurazione ma sarà recuperato poco della perdita.
Così Lo Iacono lancia un forte appello. “Diamo fastidio a molti. Noi certo non ci fermiamo, ma potremo andare avanti fin quando potremo. Daremo fondo alle riserve. Ma se lo Stato vuole vincere deve puntare anche qualcosa su di noi, perché siamo deboli, non abbiamo un’economia tale da poter subire per altri anni questi incendi. Se no la cooperativa fallisce, lo Stato ha perso e la mafia ha vinto”.
Anche perché altri gravi fatti denunciati da mesi da Avvenire non si sono risolti. La grande discarica abusiva di rifiuti, su un altro terreno confiscato, è ancora lì, e anche le decine di lastre di eternit lasciate dai pastori che avevano occupato abusivamente altri terreni tolti ai clan. Le duemila pecore (che più volte avevano danneggiato il raccolto della cooperativa) non ci sono più, ma rimangono i resti degli ovili, comprese le pericolosissime lastre di amianto.
“Purtroppo non si è mosso niente”, è l’amaro commento del presidente della cooperativa, che coltiva oltre trecento ettari confiscati alle cosche mafiose nei comuni di Naro e Canicattì.
Alla Livatino, nata nel 2012 col sostegno del Progetto Policoro della Cei, arrivano "solidarietà e vicinanza" dell'arcivescovo di Agrigento, monsignor Alessandro Damiano. "Mentre bruciano i terreni, purtroppo, si mantiene viva la fiamma di coloro che perpetuano azioni contro chi vuole, con determinazione seguire percorsi di legalità con l’onesto lavoro. Solo una reazione corale a questi atteggiamenti può alimentare l’acqua per spegnere i focolai di una cultura violenta e prevaricatrice".
E interviene anche la sindaca di Naro, Maria Grazia Brandara: “Siamo vicini alla cooperativa e auspichiamo che i responsabili di tutto questo possano essere celermente individuati. La violenza non fermerà la voglia di rendere questa terra un luogo in cui ognuno può formare il proprio futuro”. “Solidarietà e vicinanza” viene espressa dal Cartello sociale della provincia di Agrigento.
“Si tratta di un segnale molto inquietante per l’obiettivo scelto su un terreno confiscato alla mafia per riconsegnarlo ad attività produttive nel segno della legalità - si legge in una nota -. Confidando sull’operato delle forze dell’ordine e della magistratura per individuare gli autori del gesto criminale e considerato che non è il primo episodio teso ad intimidire chi cerca di portare a reddito questi terreni sarebbe auspicabile adottare misure adeguate di prevenzione anche attraverso un impianto di videosorveglianza”.