Continua a calare il numero degli incidenti mortali sul lavoro, che tocca il minimo storico. Nel 2009 sono stati 1.050 i decessi, in flessione del 6,3% sul 2008 (quando erano stati 1.120), il numero più basso mai registrato dall'inizio delle relative rilevazioni statistiche nel 1951. Nel complesso diminuiscono gli infortuni in generale, scesi a 790.000 (oltre 85 mila in meno dagli 875.144 del 2008) con un calo annuo del 9,7%, che segna la flessione più alta dal 1993. Sono i dati del bilancio annuale presentato dall'Inail. Sulla riduzione dei casi registrati e denunciati all'Istituto incide, in parte, anche la crisi del 2009, con il calo degli occupati (-1,6% per l'Istat) e delle ore effettivamente lavorate, dai tagli di straordinario al ricorso alla cassa integrazione.È soddisfatto il presidente dell'Inail, Marco Fabio Sartori, per l'ulteriore flessione di infortuni e casi mortali sul lavoro registrati nel 2009, scesi rispettivamente a 790mila e 1.050. «I dati confermano che il sistema lavoro ha investito in sicurezza» e ne «testimoniano gli sforzi», commenta in occasione della presentazione del bilancio annuale. «Stiamo vivendo un trend positivo», aggiunge rilevando la diminuzione di oltre 200 mila infortuni che emerge rapportando i dati del 2009 a quelli del 2002 (992 mila).«È un trend positivo», ribadisce Sartori riferendosi anche al calo dei casi mortali che, dice, «pur rimanendo ancora a livelli troppo alti, perchè parliamo sempre di vite umane, e questo è sempre bene ricordarlo, non accenna a interrompersi». E dimostra che l'Italia non è fanalino di coda, anzi fa meglio della media Ue, quanto all'incidenza infortunistica. Sartori evidenzia come questo miglioramento indichi che «stanno cambiando la cultura e l'approccio delle imprese. Segno anche di una forte e capillare presenza dell'Inail, che è riuscita a fare penetrare un concetto basilare: la sicurezza prima di tutto». Tornando ai dati e raffrontandoli con l'andamento in Europa, Sartori smentisce anche la "diceria" che vuole l'Italia fanalino di coda nell'Unione europea per quanto riguarda gli infortuni. «Non è vero e lo abbiamo più volte detto. L'Europa a 15, nel periodo 2003-2007», dice sulla base degli ultimi dati Eurostat, «per ogni 100 mila occupati stima un numero di infortuni pari a 2.859: ebbene, rispetto a tale indice il nostro Paese si attesta ben al di sotto con 2.674. Rispetto a Spagna (4.691), Francia (3.975) ma anche alla Germania (3.125), registriamo, dunque, un livello di infortuni più basso».
IN CALO GLI INFORTUNI TRA STRANIERIInfortuni tra i lavoratori stranieri in flessione per la prima volta nel 2009: dai 143.641 casi del 2008 si è passati ai 119.193 dello scorso anno, con un calo del 17%. Lo sottolinea l'Inail presentando il bilancio annuale. Diminuiscono anche i casi mortali, scesi a 150 dai 189 dell'anno precedente (-20,6%). Si tratta di «una significativa e incoraggiante diminuzione», commenta il presidente dell'Istituto Marco Fabio Sartori.La flessione degli incidenti ha riguardato prevalentemente la componente maschile (-20,3%) rispetto a quella femminile (-4,9%) e si è verificato maggiormente nell'industria ed in particolare nel settore manifatturiero «notoriamente ad alta presenza di lavoratori stranieri nei quali la crisi produttiva e occupazionale è stata più acuta», sottolinea l'Inail, attribuendo la flessione, come nell'andamento generale, alla crisi dello scorso anno ma anche alle migliori condizioni di lavoro. «Il calo è da attribuire, in parte, alla riduzione complessiva delle opportunità di lavoro che ha interessato tutta la popolazione del Paese e, dunque, anche gli stranieri, colpiti, peraltro, da livelli di precarietà superiori agli italiani - afferma Sartori - ma, in parte anche consistente, al miglioramento delle loro condizioni per quanto riguarda prevenzione e sicurezza».Rumeni, marocchini e albanesi sono, nell'ordine, le comunità che ogni anno denunciano il maggior numero di incidenti, totalizzandone il 40%. Se si considerano, poi, i casi mortali la percentuale supera il 50%: in altri termini un deceduto di origine straniera su due, in Italia, proviene da una delle tre comunità.