C’è chi, come la Provincia di Roma, l’ha estesa ai familiari anziani e non autosufficienti. Chi, come Bergamo, oltre alle piscine comunali è riuscito a coinvolgere anche la grande distribuzione e gli studi dentistici. Chi, come Bologna, ha ammesso tra i beneficiari le famiglie con 'solo' 2 figli, purché minorenni, anziché 3 come accade nella maggioranza dei casi. Chi, ancora, come Bolzano, ha previsto un reddito imponibile inferiore ai 60 mila euro per godere dei benefici. L’Italia dei campanili si riflette anche nelle Family Card: ognuno fa per sé, in ordine sparso, sperimentando iniziative diversissime tra loro. È una mappatura a macchie di leopardo, quella che emerge dalla ricerca realizzata dalla Provincia di Trento e pubblicata pochi giorni fa sul sito dell’amministrazione. Una mappa con la gran massa delle 'bandierine' concentrata in Lombardia, Veneto, Emilia e Marche e con un Sud desolatamente sguarnito. Le Carte famiglia sono un fenomeno piuttosto recente in Italia, accelerato negli ultimi cinque anni soprattutto dall’attivismo dell’Associazione famiglie numerose e dal dibattito sulla promozione della famiglia scaturito dal Family Day. I frutti? 42 Family Card – di cui 28 attive, 9 sospese o concluse e 5 in fase di realizzazione –, patrocinate dalle amministrazioni locali (quasi sempre da Comuni, in quattro casi da Province, in un caso da una Regione – il Friuli-Venezia Giulia – e in un paio di casi da più Comuni consorziati). Quel che si nota, scorrendo la rassegna effettuata dalla Provincia di Trento, è che moltissime carte si limitano a creare un circuito di negozi disponibili a vendere prodotti con uno sconto. È il caso di Belluno, dove i nuclei con almeno 3 figli possono comprare vestiti, casalinghi, automobili, libri e persino organizzare funerali a prezzi 'amici' in 90 negozi convenzionati.Una soluzione, quella della pura e semplice scontistica, che non convince Luciano Malfer, dirigente generale del Coordinamento politiche familiari e di sostegno alla natalità di Trento e 'patron' della ricerca: «Il messaggio che passa è che l’ente locale sta a guardare, si limita a organizzare qualcosa ma poi si tira indietro. Secondo me questa non è reale promozione della famiglia. E in più, alla fine il risparmio per le famiglie non è così rilevante». Nelle realizzazioni più avanzate, invece, la Family Card prevede agevolazioni anche su servizi comunali come le mense e i trasporti scolastici o sulle utenze. Accade a Ferrara, dove però è stato posto un vincolo di almeno 4 figli sotto i 26 anni e un reddito (con il calcolo Isee) sotto i 25 mila euro. A Parma c’è una vera e propria carta di credito magnetica, che convoglia il pagamento di servizi e tariffe di competenza dell’amministrazione comunale, già calcolati al netto delle agevolazioni per i nuclei familiari. Dunque, esperienze diversissime tra loro. Ma cosa deve offrire, al minimo, una Family Card che si rispetti? «Come minimo, una buona scontistica nella grande distribuzione e tariffe agevolate per la famiglia nei trasporti pubblici», risponde Mario Sberna, presidente dell’Associazione famiglie numerose, le cui sedi locali hanno dato impulso, con il loro pressing nei confronti delle amministrazioni comunali, al 30 per cento delle Family Card. Ma il problema, per Sberna, è un altro: «Manca una direttiva nazionale che uniformi la materia. In secondo luogo le Carte famiglia funzionano nella misura in cui un’amministrazione ci crede fino in fondo e decide di investire delle risorse».