Delitto di Alatri. In piazza per Emanuele. «No a vendette»
Un momento della fiaccolata per ricordare Emanuele Morganti, massacrato di botte ad Alatri (Ansa)
Un tramonto meraviglioso, ieri sera. Rosso fuoco. Una cittadina, bella, sulla quale s’è abbattuta una tempesta che non ha sfiorato le costruzioni, ha sbattuto le persone. Ha rinfocolato separazioni e antipatie, infiammato paure, innescato sensi di colpa. Un meraviglioso tramonto sceso sulla fiaccolata per Emanuele e sulle magliette col suo volto, sorridente, che indossano tanti. Su qualche lacrima. Sul dolore, da togliere il fiato, di una mamma che continua a chiedersi perché suo figlio non abbia trovato, quella notte, in quei momenti, in quella piazza, un samaritano. E il vescovo spera che «chi non è intervenuto lo abbia fatto solo perché paralizzato dalla paura e non per indifferenza».
Una piccola città che non si capacita per quanto accaduto, che si ritrova in un incubo. Che davvero non s’aspettava, che in qualche modo 'sapeva' chi fossero quei due, eppure nessuno avrebbe mai pensato potessero spingersi a tanto. Nella quale i giornalisti si guardano male perché gonfiano fatti e parole, si evitano e forse non per omertà e nemmeno per fastidio, solo per dolore e pudore. O forse anche per «vergogna», come un ragazzo, quasi omonimo di uno dei fratelli arrestati, recita, duro, quasi spietato, in una poesia postata su un social network che sta facendo il giro del web. E poi la droga. La coca. Che potrebbe essere la chiave di tutto, che potrebbe aver moltiplicato disagi e deliri di ragazzi col passato e il futuro già scritti da droga e violenza, sempre che poi esistano realmente i destini. Che potrebbe avere bruciato i cervelli di questi ragazzi al punto di far venire loro voglia di prendersi il 'mercato' dello spaccio della zona come se fosse un gioco perverso, e allora volevano mandare un 'segnale' di malata onnipotenza massacrando Emanuele per caso, solo per essersi trovati lì, assai probabilmente strafatti, negli istanti in cui i buttafuori mettevano fuori il ragazzo dal locale dell’Arci.
Poi ci sono gli avvocati che rinunciano a difenderli per le minacce ricevute e altre minacce, quelle ai loro familiari, alcuni dei quali costretti a trasferirsi in fretta e furia. Ci sono le tensioni che appena entri nella cittadina, cammini e quasi le vedi con gli occhi e le senti addosso, potresti toccarle. Mentre nella piazza di Santa Maria Maggiore stanno preparando le fiaccole. «Questa tragedia ha radici lontane, ma ora bisogna evitare qualsiasi spirito di vendetta», spiega il vescovo della diocesi di Anagni-Alatri, monsignor Lorenzo Loppa. È scosso anche lui, non potrebbe non esserlo: «Dovremo fare di più come istituzioni – continua – e ci metto anche la nostra comunità cristiana. La scuola, la famiglia. Dobbiamo rimboccarci le maniche. Adesso dovremo fare in modo che non si verifichi mai più una cosa come questa». E questo modo è uno: «Non commuoviamoci solo davanti alle tombe nei cimiteri. Ce ne sono tante altre che abbiamo davanti ogni giorno e penso alla discordia, per esempio. Penso alla gente che è divisa per tanti motivi. Allora scoperchiamole prima, queste tombe». C’è la notte che cala su Alatri e non tutti dormiranno.
Stamattina ci sarà l’autopsia sul corpo di Emanuele. La Procura vuole capire se oltre ai colpi di grazia inferti da Paolo Palmisani e Mario Castagnacci, in carcere a Regina Coeli con l’accusa di omicidio volontario, possa aver provocato la morte anche un’eventuale emorragia interna scaturita da calci e pugni sferrati dagli altri cinque indagati a piede libero quando ormai il ragazzo era a terra, senza conoscenza. Ci sono, infine, le parole del sindaco Giuseppe Morini. «L’aria è di tristezza, di stupore, smarrimento. La città è impietrita e disorientata», dice. L’assassinio di Emanuele «è qualcosa che non appartiene alla nostra città». Ma «c’è una risposta – continua –, nel luogo dove è avvenuto il delitto c’è una montagna di fiori. La partecipazione massiccia alla fiaccolata per pregare e rendere omaggio al ragazzo. Tanta gente comune, tanti giovani, scolaresche». E adesso? «Adesso la città vuole giustizia e vuole reagire».