Roma. La marcia del popolo che dice «viva la vita»
Un momento della manifestazione a Roma
Al centro di tanti palloncini rossi c’è un cuore con la spunta, il segno di chi opta per la vita. Ci sono striscioni e bandiere colorate, tante quante le 100 realtà che sono incolonnate dietro la grande scritta rossa "Scegliamo la vita", proprio nell’anniversario della legge sull’aborto. Piazza della Repubblica, ore 14. Il sole picchia, ma non spegne l’allegria di chi intona canti con la chitarra o ritma preghiere a suon di tamburi. In diverse migliaia percorrono via Cavour, sventolando cartelloni contro «la cultura dell’aborto». Si battono la mani scandendo "Viva la vita" nella manifestazione nazionale per la vita, per ricordare all’Italia che «il popolo della vita c’è, non si è rassegnato». E soprattutto, come ricorda dal palco uno dei portavoce, Massimo Gandolfini, «per dire no a quelle leggi che non tutelano la vita dal concepimento alla morte naturale».
Il messaggio viene scandito più volte dal megafono: scegliere la vita è bello. «Urgente e importante in un Paese in pieno inverno demografico – ribadisce l’altra portavoce dell’evento Maria Rachele Ruiu – ma anche conveniente e produttivo. Ecco perché da Roma vogliamo testimoniare all’Italia la bellezza del vivere, perché anche se il percorso alle volte è faticoso, lo spettacolo quando si arriva in vetta è fantastico». Ci sono tanti bimbi in carrozzina o nei marsupi stretti al petto dei genitori. Cappellini colorati per potreggerli dal sole, qualche capriccio dovuto al caldo calmato con un gelato. Ci sono mamme e papà a rappresentare la bellezza della famiglia, anche quando è attraversata da momenti difficili. Come quello raccontato da Giuliana e dal marito Octavian, dal palco di piazza San Giovanni, con i cinque figli a far da testimoni. Il sesto, Carol, vissuto pochissimo per una malformazione, «adesso è un angelo che guarda la nostra famiglia dall’alto e ci protegge». Lui, è «comunque un miracolo di vita per noi – racconta – perché quando tutti ci dicevano di abortire abbiamo comunque scelto la vita, anche se quella di Carol è stata breve». O come la scelta complicata di Maya che a 17 anni ha comunque deciso di portare avanti la sua gravidanza, nonostante «tutti mi dicevano che un figlio a quell’età mi avrebbe rovinato la vita». Ora di figli Maya e il marito Marco ne hanno quattro. «Non ho rinunciato a nulla, non mi ha tolto il sogno di laurearmi e di lavorare – si commuove Maya – scegliere la vita mi ha salvato la vita. La loro nascita è stata la mia rinascita».
Nessuna bandiera di partito, solo quelle delle realtà che difendono l’esistenza umana. «Perché la vita e la famiglia sono di tutti. Non sono né di destra né di sinistra», precisa Gandolfini, che ricorda di aver parlato della manifestazione a febbraio a Papa Francesco e «lui ha espresso la sua totale condivisione e mi ha dato la sua benedizione». Con la manifestazione «che non è contro qualcuno, ma contro l’ideologia che fa della vita umana una merce da manipolare», infatti, «vogliamo dimostrare una concreta e visibile resistenza a tutte le norme e le leggi che vanno contro la vita – sottolinea – un contrasto coraggioso e determinato verso quei cosiddetti diritti civili che negano le leggi che la natura stessa ci ha donato». Contrastare, prosegue Gandolfini, non vuol dire usare la violenza «ma deve voler dire resistere con tutte le forze a leggi ingiuste». Tipo quella che rischia di portare verso «derive eutanasiche», dimenticandosi che «la risposta alla sofferenza sono le cure palliative. La legge 38 del 2010, approvata nel 2010, è stata finanziata solo per il 20 per cento».
In testa al corteo c’è Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia, che precisa come la marcia è la richiesta «alla politica tutta di attuare misure a sostegno della maternità e della vita nascente, bloccando qualsiasi istanza che vuole la morte per i fragili o gli anziani». Tra la folla si riconosce anche Alberto Gambino, il presidente dell’associazione "Scienza e Vita": «La vita degli altri e la propria non possono essere trattate come cose funzionali a una aspettativa soggettiva, altrimenti si finisce per retrocedere un’esistenza e, dunque, una persona alla stregua di un oggetto». In un comunicato, infine, don Aldo Buonaiuto della associazione Giovanni XXIII, sottolinea come essere in piazza «testimonia pubblicamente l’inaccettabilità etica e la ferita sociale dell’aborto, dell’eutanasia e di tutte le altre offese alla dignità umana».