Ambiente. L'urbanista Pileri: «Consumo di suolo, serve una rivoluzione culturale»
«Non dobbiamo frenare il consumo di suolo, dobbiamo fermarlo». Paolo Pileri non usa mezze parole per fotografare l’ultimo rapporto di Ispra sul consumo di suolo. Ma soprattutto non risparmia nessuno: politici, scienziati, giornalisti e comunicatori. Tutti coloro cioè che, secondo il professore ordinario di Usi del suolo ed effetti ambientali al Politecnico di Milano, hanno una responsabilità “culturale” per poter dare una svolta.
La buona notizia è che il consumo di suolo è diminuito, la brutta?
La brutta notizia è che i cambiamenti sono avvenuti per caso. Non perché abbiamo alle spalle, ad esempio, una nuova legge sul consumo di suolo. Questa contrazione che salutiamo con interesse è un risultato casuale: forse anche dovuto al ripristino di alcuni cantieri e quindi il dato del suolo consumato (21.500 km quadrati nel 2023, ndr) rimane alto e grave. Anche perché non dimentichiamoci che l’obiettivo vero a cui il nostro stato e gli stati europei devono conformarsi è quello del consumo del suolo netto pari a zero.
Pari a zero non è un utopia? No, è possibile. È chiaro che nella nostra abitudine urbanistica non è possibile. Ma potrebbe esserlo se ad esempio esistesse un censimento sui capannoni dismessi in Italia. Pare che in Veneto ce ne siano 92mila: 92mila capannoni non utilizzati.
Perché conviene ancora costruire e non ristrutturare.
Le imprese vogliono mantenere quegli intervalli di profitto a cui si sono abituati nel passato. E lo stesso accade anche all’investitore energetico.
In che senso?
In questo momento l’investitore energetico non vuole fare pannelli fotovoltaici sui tetti perché gli costano di più e il legislatore non fa nulla per impedirglielo: così è ovvio che il mercato va dove c’è il profitto
Si riferisce al caso Sardegna?
Si lì c’è una situazione particolarmente grave come è particolarmente grave anche in Puglia e in Sicilia. Sono aree dove la mancanza di una pianificazione rigorosa ha lasciato spazio al far west dove l’investitore forte compra le aree pagandole il doppio ma ovviamente va a cercarsi le aree dove ha meno costi: piane, raggiungibili e non deve neppure avere punti di disboscamento. Spesso queste aree coincidono anche con le aree di miglior prestazione per quanto riguarda l’agricoltura. Nelle grandi città si piantano alberi, è un modo per contrastare il consumo del suolo?
È vero che Milano ha piantato qualche albero in più anche se poi il 25 luglio di due anni fa ne sono caduti 5mila in un solo colpo e non si è ancora arrivati a compensare quella perdita. Piantare alberi ma nello stesso momento, con l’altra mano, continuare a consumare suolo non ha senso: se io facessi un bilancio di sottrazione di Co2 i 18 ettari che Milano ha consumato nell’ultimo anno a fronte degli alberi piantati questi sono “uno zero virgola...” Anche la narrazione green è tutta concentrata sugli alberi. Gli alberi sottraggono Co2 e la trasferiscono al suolo. È un passaggio che manca nella narrazione ambientale. Il suolo, dove c’è già un prato, c’è già del verde e già un suolo che sottrae Co2 e non è che se pianti un albero ne sottrai di più. Quindi non serve andare a piantare alberi se nello stesso tempo distruggere il suolo. Il suolo è un pozzo di carbonio fondamentale per la regolazione climatica
E poi c’è il cambiamento climatico.
Nel consumo di suolo c’è anche un problema climatico: perché il primo metro di suolo contiene più o meno quattro volte la quantità di carbonio che è contenuta in tutta la vegetazione terrestre. Il suolo quando non viene cementificato è un’enorme spugna di anidride carbonica e quindi attraverso la vegetazione il suolo stocca e assorbe per sempre - per migliaia d’anni - il carbonio che arriva dalla fotosintesi, dall’anidride carbonica in atmosfera.
Come è cambiato negli anni il consumo del suolo?
Ogni periodo storico si porta dietro i suoi profili di consumo di suolo. Negli anni ‘70-’ 80 abbiamo avuto il boom delle seconde case; poi negli anni ‘90 abbiamo puntato tutto sulle infrastrutture stradali, da ultima nella nostra storia ma non sarà l’ultima la Brebemi e la Pedemontana veneta. Negli anni duemila siamo entrati nell’epoca della logistica, dei grandi capannoni; oggi stiamo entrando in un’altra epoca, che è quella degli impianti energetici piuttosto che dei data center. Oggi cominciamo a vedere questi grossissimi consumi di suolo per i data center. Ogni epoca ha sempre bisogno della terra perché vuole portare avanti un’idea di sviluppo sempre aggressivo e sempre consumistico. Citerei la Laudato si: la prima risorsa citata dal Papa, ancora prima dell’acqua, è il suolo. Perché la terra è la più grande risorsa contesa dai contendenti. Oggi il consumo di suolo è diventato anche la lunga mano degli investimenti esteri. In Sardegna ad esempio un fondo di investimento cinese ha comprato mille ettari di suoli agricoli per farci un impianto energetico. Questo fondo verrà poi rivenduto a un altro fondo, magari sudamericano. Questo vuol dire che la terra di ogni paese comincia a passare di mano in mano e sempre più si allontana da quella che è la volontà dei cittadini che la vivono.
Come si inverte tutto? Con la legge o serve dell’altro?
È necessario uno sforzo culturale, bisogna dare voce a chi voce non ha. Di suolo ne sappiamo ancora troppo poco poco. C’è bisogno di una grande rivoluzione culturale, non solo a partire dalle scuole ma anche dalla politica, nel giornalismo e nel mondo del della comunicazione. Dobbiamo raccontare il suolo non come un problema ma come un meccanismo di felicità. Cioè sono felice se la domenica vado in un parco e non in un centro commerciale. Certo è chiaro che chi fa politica ha una responsabilità enorme: abbiamo bisogno di una legge contro il consumo del suolo come è chiaro che abbiamo bisogno di una serie di dati che fanno capire a tutti che abbiamo un sacco di capannoni dismessi e quindi non ha senso costruirne di nuovi. Quindi serve una legge ma se anche avessimo una legge senza cultura servirebbe poco.