Attualità

Studio. Gli italiani rinunciano ai figli perché sono più in ansia per il clima

Massimo Calvi mercoledì 1 maggio 2024

Gli italiani sono molto più preoccupati per le conseguenze del riscaldamento climatico e per il futuro economico del proprio Paese rispetto ad altri cittadini europei. Ed è anche per queste ragioni che hanno meno figli o rinunciano ad averne.

A offrire questa chiave di lettura è una ricerca contenuta nel "Rapporto Giovani 2024" dell’Istituto Giuseppe Toniolo, “Il rischio climatico e l’impatto sulle intenzioni di fecondità”, a cura di Irene Frageri, Francesca Luppi e Francesca Zanasi, nella quale si è cercato di aggiungere nuovi tasselli al complicato puzzle della denatalità.

La novità di questo lavoro riguarda proprio l’analisi della questione climatica come un ulteriore fattore di incertezza tra i molti che negli anni si sono sovrapposti fino a rendere la prospettiva della famiglia solo una delle varie possibilità di autorealizzazione individuale. Ma l’aspetto forse più interessante è legato al ruolo che la narrazione prevalente in un Paese riesce ad avere sulla percezione del futuro che matura nei giovani, fino a condizionarne le scelte familiari.

La ricerca ha utilizzato i dati di un’indagine internazionale condotta a fine 2022 dall’Osservatorio Giovani del Toniolo, concentrandosi su quel 53% di persone tra i 25 e 34 anni di età che si è dichiarato poco o per niente disposto ad avere figli nei tre anni successivi. E ad emergere è proprio la maggiore preoccupazione degli italiani per il futuro della situazione economica personale, di quella del Paese nel suo insieme, oltre che per gli effetti della crisi climatica. Ma se i timori legati alle prospettive finanziarie nazionali possono avere un fondamento razionale, perché gli italiani hanno più timore per il clima di francesi, tedeschi o britannici?

In questo caso la spiegazione del racconto pubblico capace di generare una maggiore eco-ansia spiega molto ma non dice tutto. Ad avere più paura sono infatti i giovani dei Paesi che per tradizione offrono scarse risorse a supporto della fecondità, come l’Italia o anche la Spagna, e dove l’arrivo di un figlio può cambiare la vita in modo ancora più radicale. La carenza di ampi sostegni alle coppie, si potrebbe dire, rende le aspettative ancora più cupe di quanto non lo siano nella realtà.

Ad esempio, se si chiede ai giovani del campione europeo come mai non vogliono un bambino (o rinunciano a uno in più) la prima preoccupazione, con oltre il 60% delle risposte, riguarda la situazione economica futura del proprio Paese, seguita dai problemi economici personali nel presente (60%), poi dai timori per il cambiamento climatico pensando a quanto impatterà sulle generazioni successive (58%), dall’indisponibilità a rinunciare ai propri stili di vita (58%), e infine – vabbè - dal non volere aggiungere una persona in più sulla Terra per limitare l’impatto ecologico (40%).

Nel dettaglio, però, gli italiani sono molto più preoccupati dei giovani di Gran Bretagna, Germania, Francia e anche Spagna per la propria situazione economica (70%), ma anche per quello che troverà in futuro il proprio eventuale figlio come situazione economica (68%) e climatica (62%). L’unico fattore che avvicina un po’ i giovani italiani agli altri è la rinuncia al figlio per non dover «abbandonare un certo stile di vita» (61%).

C’è un fatto abbastanza dirompente messo in luce dalla ricerca, e si riferisce a un tipo di timore che sempre più condiziona le persone fino a farle desistere dal mettere al mondo una nuova vita: non più solo la preoccupazione per la propria situazione, ma anche per quanto troveranno i figli: «In qualche modo l’incertezza percepita – scrivono le autrici dello studio - è giudicata insostenibile anche a fronte di una valutazione individuale del benessere delle generazioni successive».

Questo fatto del non volere figli per risparmiare loro la sofferenza di vivere in un mondo con problemi ambientali e/o economici, non è di poco conto e merita una divagazione rispetto alla ricerca. Da un lato può infatti esprimere il tentativo di mettersi nei panni di qualcun altro, seppure non ancora nato. Dall’altro può rivelare un aspetto più inquietante, se a manifestarsi è piuttosto la disposizione a estendere l’insoddisfazione personale e i propri timori per il futuro fino alla decisione di non avere quel figlio che si considera già vittima del mondo già nel momento in cui lo si pensa. Fosse così, insomma, vorrebbe dire che non si tratta più di fare i conti con l’«insicurezza» quale motore della denatalità, ma con qualcosa che assomiglia più al venire meno di ogni speranza. Il che è ancora più terribile, considerato che la percezione negativa del futuro non è oggettiva, ma risente di condizionamenti legati al contesto in cui si vive.

La ricerca, che ovviamente non si spinge a queste conclusioni, mostra anche che non ci sono grandi differenze tra lavoratori stabili e precari nel valutare l’insicurezza climatica, anche se le donne sono più preoccupate per il futuro dell’ambiente rispetto agli uomini. Invece, come si diceva, più determinante nella decisione di non avere un figlio è la scarsità di risorse pubbliche che un Paese destina alla fecondità, elemento che, specialmente in Italia e Spagna, rende più gravoso sopportare tutto il resto: «Gli effetti destabilizzanti di eventi come la pandemia di Covid, la guerra e il cambiamento climatico – scrivono le ricercatrici - accrescono il senso di incertezza generale e impattano più negativamente sulle intenzioni di fecondità dei giovani».

Il che è come dire che per ridurre l’impatto dell’ansia climatica si dovrebbe innanzitutto agire per creare un “clima” migliore a favore della natalità.