Minori, le storie. «In catene, per mio figlio». La battaglia infinita di Giada
Giada Giunti, la mamma di Roma che lotta per avere il suo bimbo
Quando un ministro della Giustizia, di fronte all’evidenza di un caso contestato, afferma in Aula: «È evidente che la volontà di questo bambino è stata trascurata dai giudici», ma non cambia nulla. Quando una Corte d’appello riceve decine di dvd in cui il bambino di cui sopra racconta le violenze sopportate dalla madre da cui è stato allontanato per mano del padre con cui un tribunale ha deciso che deve continuare a vivere, ma non cambia nulla. Quando decine di perizie di specialisti autorevoli contestano quella utilizzata dai giudici per la loro decisione, ma non vengono neppure prese in considerazione e non cambia nulla. Quando il minore coinvolto nel procedimento, nonostante abbia più volte manifestato alla mamma la sua volontà di tornare con lei davanti a testimoni credibili e con lettere scritte sotto gli occhi dei servizi sociali, non viene neppure ascoltato dai giudici come previsto dal codice penale e da tutti i trattati internazionali e non cambia nulla.
Ebbene, quando tutte queste circostanze si verificano insieme, vuol dire davvero che qualche virus devastante si è insinuato nell’organismo del nostro sistema giudiziario. Situazione tanto più grave e intollerabile quando la vittima del disastro è un bambino. Una vicenda senza appello? La mamma di cui sopra che si chiama Giada Giunti, professionista romana armata di una determinazione che sbriciolerebbe il cemento armato, ha deciso di no. Ha giurato a se stessa che si batterà con tutte le armi che il diritto le mette a disposizione per tutelare suo figlio. Nei mesi scorsi si è più volte incatenata davanti a Montecitorio. Ha bussato giorni e giorni alla porta del ministero della Giustizia. Ha inviato dossier e fascicoli a mezzo mondo. Sui social la sua vicenda è diventata simbolo della volontà di riscatto di un genitore colpito al cuore dal dolore più atroce, quello di un figlio che le viene sottratto con la forza sulla base di evidenze fragilissime. E tante altre madri – ma anche padri – che si trovano nella medesima situazione, sono con lei. Eppure la giustizia tace. L’udienza che dovrebbe riprendere in mano la dolorosa situazione del figlio, oggi 14enne, su richiesta della madre che vorrebbe fosse rivalutata le decisioni del tribunale alla luce di nuove circostanze, viene rimandata di mese in mese. Prima c’è stato il Covid, ora le ferie. E poi, cos’altro capiterà? Giada Giunti chiede di rivedere la sospensione della responsabilità genitoriale decisa quattro anni fa da un giudice sulla base della denuncia del suo ex marito. Una vicenda che sembrerebbe la fotocopia di tanti altri drammi di questi ultimi anni. Una separazione conflittuale, il confronto senza esclusioni di colpi tra i due ex per l’affido del piccolo. E lui, la piccola vittima, che finisce per un periodo dalla madre, poi dal padre, poi una casa famiglia, infine ancora con l’uomo. Ma dopo anni di rimpallo nessun giudice che si prenda la briga di chiedere al ragazzo – che non è un neonato e quindi ha capacità di discernimento – : «Ma tu con chi vuoi stare?».
Nel maggio scorso, il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, rispondendo a un’interrogazione parlamentare presentata da Veronica Giannone (segretario della commissione parlamentare per l’Infanzia e l’adolescenza), ha chiesto che venga rispettato «il pieno diritto di ascolto del minore considerato che nel caso trattato sembrerebbe essere completamente trascurata la volontà di quest’ultimo». Non è successo nulla. Stessa sorte per le istanze urgenti presentate nelle scorse settimane. Per la giustizia non c’è fretta e vale ancora quella perizia di sette anni fa con cui mamma Giada è stata bollata come «simbiotica e alienante », definizione che oggi tutti gli specialisti ritengono inadeguate. Ma qual la colpa che i giudici imputano a questa madre? «Abbandono di minore», per aver accompagnato il figlio a lezione di tennis e averlo lasciato un paio d’ore sotto la tutela del maestro, in un circolo della capitale frequentato, con le stesse modalità, da altre decine di ragazzini. Proprio in quella circostanza, il piccolo – allora aveva sette anni – è stato prelevato con la forza da due volanti della polizia su mandato del tribunale per i minorenni.
Schema più volte visto e più volte deprecato. Come se ci fosse da catturare un ergastolano evaso. «Nessuno che si sia chiesto quali conseguenze avrebbe potuto avere quell’intervento spropositato sull’equilibrio psichico di mio figlio», racconta oggi la mamma. E che qualche disturbo si sia innescato lo provano le relazioni depositate alla Corte d’appello dagli psichiatri Alessandro Meluzzi e Paola Notagiovanni in cui si afferma che «il minore ha espresso in più sedi la volontà di stare con la mamma ». Ma non solo, secondo gli specialisti il ragazzino avrebbe manifestato disturbi nel comportamento «che potrebbero essere ancora più gravi in presenza di una figura paterna percepita come inadeguata e/o pericolosa, come dimostrano le volontà degenerate del padre – si legge nella relazione – e i suoi sconsiderati gesti a scapito del figlio per colpire una figura femminile odiata, quale la moglie». Se questa situazione dovesse stabilizzarsi e dovesse cronicizzarsi, allontanando ulteriormente la figura materna – proseguono gli specialisti – ci troveremo di fronte al «paradosso di una menomazione affettiva che, non avendo alcuna vera e propria ragione di protezione del minore nei confronti di elementi disturbanti, rappresenterebbe un gravissimo vulnus per la sua vita». Le perizie accompagnano la richiesta di revisione della sentenza di affido che dovrà essere valutata a breve. Si spera. Giada legge con le lacrime agli occhi. Poi alza lo sguardo. Determinata: «Non mollo, vado avanti. Devo salvare mio figlio. Le parole del ministro mi hanno dato nuova speranza. Ora posso di nuovo avere fiducia nella magistratura ».
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