Con la calura estiva che arroventa le celle e il sovraffollamento che infiamma gli animi basta una goccia a far traboccare il vaso. La goccia che non c’è: nella casa circondariale di Pisa manca l’acqua – una situazione che si è più volte ripetuta nel corso degli ultimi mesi – e i detenuti protestano violentemente. Lunedì sera, intorno alle nove, circa duecento persone del reparto giudiziario, la metà degli ospiti del “Don Bosco”, hanno messo in scena la protesta, dapprima sbattendo ogni oggetto che capitasse loro a tiro contro inferriate e cancelli, poi dando fuoco a stracci e cuscini, infine lanciando nei corridoi bombolette di gas, bottiglie ed escrementi. Gli agenti di polizia penitenziara hanno impiegato due ore per ristabilire l’ordine: «La situazione è sempre più incandescente – ha dichiarato Donato Capece, segretario generale del Sappe il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria – e ormai ogni giorno registriamo manifestazioni e proteste di detenuti sempre più violente». Serve una nuova politica della pena, un ripensamento organico del carcere e dell’istituzione penitenziaria: «In quale carcere si verificherà la prossima rivolta? Bisogna prevedere un maggior ricorso alle misure alternative alla detenzione – prosegue Capece – e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici». Come il braccialetto elettronico che in molti Paesi europei ha dato risultati indubbiamente positivi: «Le istituzioni e il mondo della politica – conclude il segretario del Sappe – non possono più stare a guardare, devono agire concretamente». Che gli impianti idraulici del “Don Bosco” non siano al massimo dell’efficienza è già chiaro da tempo: il carcere deve pagare al gestore dell’acquedotto «bollette per alcune centinaia di migliaia di euro – ricordava non più tardi di una settimana fa Andrea Callaioli, il garante dei diritti dei detenuti del Comune di Pisa – probabilmente a causa di grosse perdite dagli impianti, di cui nessuno si era accorto e che si verificavano in un’ala ora in ricostruzione». Urgono – soprattutto per questo i detenuti sono in rivolta – opere di manutenzione e restauro dell’immobile. Continua – seppur in modo assolutamente civile – anche la protesta nel carcere di Sollicciano, a Firenze, cominciata il 18 agosto per denunciare l’eccessivo sovraffollamento delle celle e per contestare la gestione complessiva dei posti nelle case circondariali in Toscana. Una gestione «demenziale» secondo la definizione di Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze. La protesta è rumorosa ma innocua dato che gli ospiti dell’istituto di pena si limitano a sbattere oggetti tra i più vari contro le sbarre delle celle. Corleone è stato in visita a Sollicciano lunedì: «C’erano 955 detenuti più sette bambini – spiega – a fronte di una capienza da 447 posti. Oggi è previsto un incontro tra la direzione e una folta rappresentanza dei detenuti che hanno preparato un documento nel quale elencano le loro richieste ». In questo clima di precarietà e di tensione non sono rari i gesti estremi e lunedì pomeriggio un detenuto quarantaseienne originario di Roma si è impiccato nel carcere di Frosinone: ha ricevuto una lettera dalla fidanzata – raccontano i compagni che hanno cercato inutilmente di soccorrerlo – e subito dopo averla letta si è suicidato. L’uomo era recluso in una cella della sezione tossicodipendenti del carcere. Nella struttura del capoluogo ciociaro sono attualmente ospitati 480 reclusi. «Questo episodio – ha dichiarato Angiolo Marroni, garante dei diritti dei detenuti del Lazio – è frutto della tensione che si respira in tutte le carceri d’Italia, sovraffollate oltre ogni limite. A questo si aggiungono anche le difficoltà del periodo estivo, con il gran caldo e le ridotte attività di socializzazione e di supporto. Un ripensamento del sistema carcerario è necessario. Non è solo con nuove carceri – conclude Marroni – che si può pensare di risolvere questo tipo di emergenza sociale».