Le mete dei lettori. In Benin fra le palafitte di Ganviè, la Venezia d'Africa
Il mercato di Ganviè
“Altre mete? Raccontaci la tua”. Continua l'iniziativa di Avvenire per l'estate dei nostri lettori. Segnalate il luogo del cuore, quello dietro casa o lontanissimo nel mondo, ancora poco conosciuto, o il vostro viaggio fuori dalle rotte del turismo di massa. Raccoglieremo le vostre proposte che arriveranno attraverso una scheda da compilare on line al link formvacanze.avvenire.it/form/. Le più curiose e belle le pubblicheremo sul sito o sul giornale.
Ed ecco la meta che segnala Anna Maria de Majo: il villaggio di Ganviè nel Benin, in Africa.
Il villaggio di Ganviè, la Venezia africana - Manu25 - French Wikipedia - Commons Wikimedia
Sono stata a Ganviè nel lontano 1974, quando mi trovavo in Africa per tre mesi partecipando a un'indagine alimentare della Cattedra di Ecologia Umana dell'Università La Sapienza di Roma. Fu un viaggio indimenticabile in un luogo indimenticabile. Il villaggio è situato sul lago Nokouè, a Nord della metropoli di Cotonou, la città più “europea” del Paese, con aeroporto e porto internazionali, anche se la capitale è Porto Novo.
Il villaggio, con case su palafitte, erette utilizzando legno e bambù, con tetti una volta di paglia intrecciata e adesso di lamiera ondulata, si raggiunge solo in canoa. Una traversata dal vicino porto di Abomey-Calavi (sede di un vivace mercato del pesce) che è un’esperienza in sé per le emozioni e i colori mozzafiato che regala.
La vita a Ganviè - che oggi conta circa 30 000 abitanti che vivono principalmente di pesca, ma, sempre di più, anche di turismo - si svolge tutta sull'acqua. Le piroghe si muovono scivolando tra i gigli acquatici che affiorano ovunque. Anche il piccolo albergo per chi vuole trascorrere qualche giorno in quella che viene chiamata la “Venezia d'Africa” è sulle palafitte.
Si tratta della più importante città lacustre dell’Africa occidentale, iscritta dal 1996 sulla lista indicativa dell'Unesco tra i possibili siti Patrimonio dell’Umanità. L'origine della città risale al XVIII secolo, all'epoca delle razzie schiaviste, che spinsero le popolazioni della regione a rifugiarsi nelle paludi del lago al fine di sfuggire a una triste sorte.
Oltre alla bellezza dei luoghi, mi colpirono soprattutto gli abitanti, accoglienti, sorridenti, ospitali. Uomini, donne e tanti bambini che ci salutavano allegramente con ritornelli in francese imparati a scuola: “Yovò, Yovò (è il nome che danno agli europei), bonsoir, ça va bien?”.
Ganviè è un posto unico al mondo, in mezzo a una natura ancora incontaminata e splendida. Un posto del cuore che voglio condividere con i lettori di Avvenire.
Lo scatto ricordo del viaggio del 1974 nella laguna di Ganviè - Anna Maria de Majo