Stop all’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, pubblica un articolato documento (di oltre cento pagine) con 9 ipotesi in campo. Ma fa nettamente capire che con l’abolizione totale, che costa più di 4 miliardi, non si va da nessuna parte. Mentre le ipotesi migliori sono la scelta di affidare l’imposta ai Comuni e la cosiddetta service tax.«La proposta di esenzione totale dall’Imu per l’abitazione principale non sembra pienamente giustificabile sul piano dell’equità ed efficienza del tributo», scrive il mininstro nel documento. In particolare Saccomanni sottolinea che l’effetto sarebbe regressivo e in sostanza andrebbe a beneficio dei redditi più alti. E produrrebbe anche una sperequazione territoriale a sfavore del Sud.La proposta di non percorrere la strada dell’abolizione totale non piace, evidentemente, al Pdl, che ne ha fatto un cavallo di battaglia. «Basta balletti sull’Imu. Va tolta sulla prima casa o il governo rischia», attacca il vice presidente del Senato Maurizio Gasparri (Pdl). Più soft il capogruppo Renato Brunetta: «Non è più il momento delle ipotesi. È ormai il tempo delle proposte». Lo stesso politico-economista dice di apprezzare la rassegna di 105 pagine, che sarebbero in pratica le stesse misure proposte di recente a un incontro con la maggioranza. In esse Saccomanni articola le valutazioni sue e degli esperti del Mef. E le offre alla decisione dei partiti politici.In particolare l’abolizione della prima rata di giugno, sospesa e slittata a settembre per effetto del decreto di maggio, costerebbe 2,4 miliardi (in pratica quanto gli uomini della contabilità statale contano di reperire dalla spending review, agendo sui conti standard). Ma avrebbe, dunque, un effetto una tantum. L’intervento proposto, infatti, «non affronta i problemi strutturali del prelievo immobiliare», si legge nei pro e contro che accompagnano questo punto, il nono, come tutti gli altri. Eliminato il primo e il nono, restano i sette intermedi. Al punto 2 c’è l’incremento non selettivo delle detrazioni, che piace a Pd e Scelta civica. Il minor gettito andrebbe da 1,3 a 2,7 miliardi a seconda delle soglie di sconto. Ma soprattutto, a parità di costo andrebbe a beneficio di una platea minore rispetto a una modulazione selettiva. La misura più fattibile, leggendo il documento, risulterebbe proprio questa. Ma se condotta in funzione del valore dell’immobile (la 3.1). Questa si ancorerebbe a un dato oggettivo, favorendo almeno i possessori di immobili di minor valore e non presenterebbe «particolari difficoltà gestionali». E la perdita di gettito andrebbe da un miliardo a 2,2 a seconda del tetto catastale individuato. Tutte le altre ipotesi al punto 3 (che agiscono sulle detrazioni parametrandole al reddito, ovvero sulla condizione economica del nucleo in base all’indicatore Isee) presterebbero il fianco a possibili svantaggi per la possibilità di «meccanismi elusivi dell’imposta (ad esempio intestazioni fittizie a familiari con reddito basso o nullo)».Infine il punto 8. In premessa il titolare dell’Economia ventila il trasferimento ai Comuni dei due miliardi che potrebbero essere trovati entro agosto. E «nel caso in cui il perimetro finanziario dell’intervento sia minore a 4 miliardi, questo è l’unico scenario in cui la prospettiva della totale esenzione dell’abitazione principale resta in piedi». L’altra opzione ottimale è la 4.1, quella che accresce l’autonomia finanziaria dei Comuni «potenziando i margini della Tares» e dando la possibilità di introdurre una
service tax per la «copertura dei servizi indivisibili». Con un’aliquota dell’1,9 per mille o con aliquote flessibili in base alle situazioni familiari entrerebbero 4,3 miliardi. La riforma, dunque, sarebbe a saldi invariati.