Nelle quattro colonie penali agricole italiane, il riscatto passa dalla terra. Da quei mestieri antichi da cui molti sfuggono perché considerati troppo faticosi o poco remunerativi, che invece possono offrire un’occasione preziosa per ricostruirsi una vita. «Alcuni giovani marocchini e tunisini qui hanno imparato a potare gli olivi. Quando, a fine pena, sono tornati a casa hanno trovato un buon lavoro: anche nel Maghreb la coltura dell’olivo si sta professionalizzando, gli alberi vengono tenuti più bassi. C’è bisogno di queste professionalità». Giampaolo Cassitta, dirigente del Provveditorato regionale per le carceri della Sardegna, racconta con orgoglio quello che sta avvenendo nelle tre colonie penali agricole sarde: Is Arenas, Isili e Mamone. «Il fatto che quei ragazzi ora abbiano trovato un lavoro nella loro terra è un messaggio importante», sottolinea. La dimostrazione che anche dal carcere si possa uscire con la speranza (e la concreta possibilità) di ricominciare da capo.Merito del progetto “Colonia” promosso nel 2010 dal Provveditorato regionale della Sardegna in collaborazione con la sezione locale di Aiab (Associazione italiana per l’agricoltura biologica) per convertire al biologico le colonie. Sono stati assunti nove operatori nelle qualifiche di potatore, apicoltore, addetto agli allevamenti, artiere ippico e casaro che hanno trasmesso “sul campo” le loro conoscenze ai detenuti addetti alle varie mansioni. «Stiamo certificando la conversione al biologico delle colture, che è a buon punto - spiega la presidente di Aiab Sardegna, Giuliana Nuvoli -. Mentre la certificazione della filiera zootecnica partirà il prossimo anno».I risultati non si sono fatti attendere: la produzione di formaggio è passata da 320 a 440 quintali l’anno, quella di miele da 2 a 22 quintali, per non parlare dei 620 quintali di ortaggi. Tutti prodotti che vengono commercializzati e distribuiti con il marchio “Galeghiotto”. La possibilità di imparare un mestiere, di trascorrere buona parte della giornata all’aria aperta, nello splendido scenario delle campagne sarde ha un impatto positivo sulla vita dei detenuti: «Gli atti di autolesionismo e altri episodi critici sono pari a zero», spiega Cassitta. E malgrado la sorveglianza sia ridotta al minimo e le superfici agricole siano molto estese, in questi anni c’è stata una sola evasione.Su agricoltura e allevamento hanno scommesso anche i detenuti della Gorgona (Livorno), piccola isola-carcere dell’arcipelago toscano dove, grazie alla collaborazione con la storica cantina Frescobaldi, ha avviato un progetto per la produzione di vini di qualità. E sulle capacità riabilitative dell’agricoltura ha puntato anche il ministero della Giustizia che per il 2013 ha stanziato 5 milioni 400mila euro. Una boccata d’ossigeno dopo il drastico taglio registrato nel 2012 quando i fondi si ridussero ad appena un milione e 200mila euro.<+copyright>