Attualità

EMERGENZA IMMIGRAZIONE. La Casbah di Mazara: «Perché venite qui?»

Lilli Genco mercoledì 6 aprile 2011
C'è solo una striscia di mare a separare chi cerca riscatto e benessere da chi, quello stesso tragitto, lo ha compiuto trent’anni fa. Mazara del Vallo, provincia di Trapani: qui c’è una delle comunità tunisine più consistenti d’Italia. I primi maghrebini sono giunti alla fine degli anni Settanta e con fatica sono riusciti a innestarsi nel tessuto economico, contribuendo alla ricchezza e allo sviluppo della città. Oggi chi parla rappresenta la seconda, in molti casi la terza generazione: sono italiani, disillusi e critici. Una generazione a cavallo, divisa tra affetti e consapevolezza, tra sentimento e ragione. Così dopo la gioia per la libertà ritrovata in patria, che aveva portato nel mese di gennaio e per la prima volta molti di loro a sfilare pacificamente per la democrazia nel centro cittadino, la notizia del continuo esodo di massa dalle coste tunisine viene vissuta, in questi giorni, con trepidazione mista a preoccupazione.Nell’antico quartiere arabo, la Casbah, per metà risanato e per l’altra metà ancora circondato da case fatiscenti e diroccate, i giovani scuotono la testa: «Arrivano tante telefonate, c’è chi cerca aiuto e sostegno per un familiare che vuole tentare la traversata ma tanti chiamano per sapere se i loro figli, alcuni minorenni, sono vivi o morti perché non hanno più notizie», racconta Raja, figlia di un marittimo tra i primi ad arrivare a Mazara nel 1978 per lavorare sui pescherecci della flotta mazarese. Tutto questo preoccupa: «Diciamo a chi ci interpella – continua Raja –. che l’Italia non è il Paese dei sogni. Io mi sto laureando in economia e finanza e non ho ancora trovato lavoro e mi chiedo cosa possano venire a fare qui tanti miei connazionali che non conoscono la lingua e le leggi del nostro Paese».È d’accordo don Francesco Fiorino, della Fondazione San Vito onlus: «Le immagini delle fughe dai centri d’accoglienza e delle condizioni in cui vivono i migranti sbarcati a Lampedusa non circolano nei media tunisini – spiega –. Così chi si arricchisce con la tratta degli esseri umani spinge i giovani ad attraversare il Canale con il miraggio di poter ottenere asilo politico». Anche Senia, che si è trasferita a Mazara del Vallo otto anni fa per fare la mediatrice culturale, è perplessa: «Molti miei amici cercano di lasciare la Tunisia alla ricerca di una vita migliore, ma non conoscono la realtà del nostro contesto.Alcuni cercano la libertà ma la libertà è anche responsabilità e qui anche molti tunisini che da anni vivono in città hanno perso il posto di lavoro». Secondo Senia i giovani dovrebbero piuttosto rimanere in patria: «Sono stata di recente in Tunisia – racconta –, la situazione è abbastanza tranquilla, certo c’è un clima di maggiore insicurezza ma la vita prosegue più o meno normalmente e si respira un clima di maggiore liberà anche se la democrazia è tutta da costruire e ci aspetta un periodo lungo e faticoso».Nella comunità "Casa speranza" delle suore francescane del Vangelo – le sorelle della Casbah, come le chiamano qui, visto il loro impegno indefesso nel sostegno ai tunisini e all’integrazione – si stanno pianificando i quarti di finale di un torneo di calcio inter-etnico. Gli arbitri saranno Aitem fruttivendolo tunisino e Ahmet un ragazzo Rom. Al clima di gioia per il vento nuovo di libertà che sembra aver attraversato il Canale di Sicilia e che i giovani manifestano chiaramente mettendo in cantiere nuovi progetti come la creazione di associazioni e circoli («anche qui a Mazara eravamo controllati dal regime di Ben Alì», sussurra uno di loro) si oppone un sentimento di realismo ed incertezza per il futuro: «In questi ultime settimane, anche per via della guerra in Libia, lavoriamo a turno sui pescherecci e la vita è sempre più dura per le nostre famiglie», raccontano. «Che faranno, quelli che arrivano?».