Le indagini. Migranti speronati: li volevano uccidere
«Prime conferme» da «plurime fonti». In altre parole, non ci sono più dubbi. Per la procura di Catania il deliberato affondamento di un barcone partito dall’Egitto con a bordo circa 500 migranti è un fatto certo. La più grave strage di migranti mai avvenuta nel Mediterraneo. L’unica, a quanto se ne sa, voluta dai trafficanti per punire l’ammutinamento dei "passeggeri".La conferma del naufragio avvenuto il 10 settembre, quale rappresaglia sui profughi che protestavano per le pericolose condizioni in cui avrebbero dovuto proseguire la traversata, era stata anticipata da <+CORSIVOA>Avvenire<+TONDOA> il 16 settembre. E ieri il procuratore capo di Catania, che ha avviato un’indagine sulla tragedia, ha spiegato che l’inchiesta ha già portato a «significativi progressi - ha riferito Giovanni Salvi con una nota - nell’individuazione della struttura dell’organizzazione criminale responsabile dell’evento». Un’accelerazione che potrebbe fruttare risultati importanti già nei prossimi giorni, grazie alla «completa collaborazione delle autorità giudiziarie e di polizia di più Stati, tra cui Egitto, Grecia e Malta». Gli inquirenti etnei hanno ribadito la necessità di non riferire ulteriori dettagli per non compromettere l’esito investigativo: «Lo sviluppo positivo delle indagini ci induce a non fornire ulteriori notizie».Il peschereccio su cui erano stati caricati i migranti avrebbe dovuto essere governato da un gruppo di scafisti improvvisati, ovvero profughi che per non pagare i duemila dollari della traversata illegale si sarebbero prestati a condurre il barcone. Ma questi, insieme ai migranti che avrebbero dovuto trasportare, si sono ribellati quando si sono resi conto che difficilmente il peschereccio – un vecchio legno destinato al disarmo – avrebbe retto il mare. Una specie di insurrezione contro cui i trafficanti presenti sulla nave madre si sono scagliati con violenza, prima lanciando oggetti contro i profughi e poi puntando la prua di ferro contro la coda del barcone, fino a farlo ribaltare.Due giorni fa una nave mercantile ha avvistato alcuni cadaveri nel tratto di mare indicato dai sopravvissuti. Più di duecento persone sono rimaste intrappolate nel peschereccio usato per il trasbordo: si tratta di quanti erano stati costretti ad accovacciarsi nella stiva e che non hanno avuto modo di poter gettarsi in acqua prima che il barcone colasse a picco. Gli altri sono morti perché incapaci di nuotare o perché sfiniti dalle molte, quasi due giorni, trascorse alla deriva.Gli inquirenti hanno ottenuto dai dieci superstiti e da altre fonti in Egitto, l’indicazione esatta del luogo di partenza della nave madre e alcuni riferimenti che portano ai trafficanti con cui i profughi si erano messi in contatto per raggiungere l’Europa, oltre a dettagli relativi ai mezzi utilizzati. Pur trovati alla deriva a miglia di distanza gli uni dagli altri - perciò soccorsi e accompagnati in Sicilia, Malta e Creta - i naufraghi hanno fornito alle autorità dei tre Paesi i medesimi resoconti, precisando circostanze perfettamente coincidenti. «Impossibile che abbiano potuto concordare la medesima versione», osserva un investigatore siciliano. Peraltro il lavoro della procura di Catania e della polizia di Ragusa e Siracusa si avvale di «materiale probatorio raccolto in precedenza», che si è rivelato utile anche in questo caso. In Egitto la regia degli sbarchi sarebbe unica e si è adesso molto vicini a individuare le basi degli scafisti.Prima della partenza le circa cinquecento persone, tra cui un centinaio di bambini tra i pochi mesi di vita e i dieci anni di età, erano state stipate in quattro autobus che dalla frontiera tra Israele ed Egitto li hanno accompagnati nel porto di Damietta, capitale dell’omonimo governatorato egiziano sul delta del Nilo. Da lì sono stati caricati su un’imbarcazione salpata il 6 settembre. Un servizio navetta svolto alla luce del sole. Nei giorni successivi i malcapitati hanno dovuto affrontare tre trasbordi. Gli organizzatori, infatti, hanno pianificato una staffetta in mare, forse allo scopo di confondere gli eventuali controlli radar e facendo passare i barconi per comuni pescherecci che fanno la spola al largo del Nordafrica.In anni di sbarchi non si era mai sentito niente di simile. Per questo il procuratore Giovanni Salvi chiede di poter lavorare nel massimo riserbo. Gli investigatori vogliono mettere le mani sui colpevoli di un atto efferato, «che se interamente confermato sarebbe di eccezionale gravità».