Attualità

IL CANTIERE. Dalla cokeria ai rifiuti, tutti i punti critici del risanamento

Paolo Viana sabato 1 dicembre 2012
Ripresa (immediata) della produzione in cambio del risanamento (futuro) dell’Ilva: è il patto tra il governo e il gruppo Riva contenuto nel decreto di ieri. Un patto che è stato subito denunciato da chi non l’ha sottoscritto. Il Gip del tribunale di Taranto ha rigettato l’istanza di dissequestro dell’area a caldo proprio nel momento in cui il consiglio dei ministri si apprestava a varare il decreto che riassegna all’Ilva gli altoforni sequestrati e le impone la messa a norma in base all’Autorizzazione integrata ambientale, che diventa legge. L’operazione di bonifica richiederà non meno di due anni e quattro miliardi di euro, che i Riva dicono di non avere. La restituzione degli impianti dovrebbe sciogliere anche questo nodo ma il percorso di risanamento resta comunque stretto. Le principali emissioni fuori legge, come si sa, sono imputate ai parchi minerali, alle cokerie e all’impianto di agglomerazione: risalgono al 1999 i primi controlli pubblici che attestano valori di polveri, metalli, benzene e di idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) e benzoapirene, di cui sono note le proprietà cancerogeniche, nettamente superiori a quelli, già preoccupanti, di raffinerie e cementifici della zona. Se si prende in considerazione, oltre alla concentrazione, anche la massa delle sostanze liberate nell’atmosfera dai camini siderurgici, il rapporto è di cento a uno. Intorno al 2003, finisce sotto esame anche l’agglomerato, dove inizia la lavorazione del ferro. Si scopre che emette diossina: 8 nanogrammi a metro cubo, quando il limite internazionale è tra 0,1 e 0,4. In seguito, le autorità riescono a contabilizzare il "contributo" dei camini delle cokerie, dove il carbon fossile viene trasformato nel coke per la combustione degli altiforni: fino al 2010 avrebbero sputato nell’aria oltre 4 mila tonnellate di polveri, senza contare il diossido di azoto, l’anidride solforosa, gli Ipa, il benzoapirene... Il piano dell’azienda è di intervenire sui parchi minerali, che sono i depositi a cielo aperto dove vengono stoccate le materie prime, tra cui anche sostanze pericolose che ora sono in balia dello spolverio del vento. Proprio in queste ore si sta cercando di capire se e dove siano finiti i materiali sollevati dalla tromba d’aria di mercoledì. Ufficialmente sono ricaduti tutti nell’area Ilva: sarebbe il primo tornado con il pallino dell’ordine... Secondo il cronoprogramma dell’azienda i parchi saranno coperti con delle "calotte" ma non è chiaro se verranno anche delocalizzati, come era stato richiesto. Gli altoforni si fermeranno alternativamente per consentire i lavori di ammodernamento, che partiranno in dicembre per le cokerie. In tutti questi casi, l’Ilva ha promesso che effettuerà "tutte le altre attività previste e prescritte", utilizzando le migliori competenze sul mercato e duemila addetti.   L’Aia le impone di applicare le migliori tecnologie disponibili, le cosiddette Bat, ma non di cambiare il sistema di lavorazione di cokeria e agglomerato, cuore del problema. Le pittoresche eruzioni di vapore che "abbelliscono" lo skyline giorno e notte derivano dal raffreddamento ad acqua del carbonfossile e sono le più velenose. In passato è stata prospettata l’acquisizione della materia prima in pellet, che non "spolvera" ma è più caro, o la creazione di un impianto di dry quenching, spegnimento a secco. Anche un’altra ipotesi di lavoro, avanzata fin dal 2003, di allungare i tempi di distillazione del carbone è caduta nel vuoto. Non è chiaro neppure se si intenda intervenire sulle routines produttive che secondo le autorità ambientali aggravano il problema, a partire dal riutilizzo dei sottoprodotti - polveri e fanghi -  nella produzione e nella carica degli altoforni. Finora l’azienda è sempre stata contraria, anzi, nel 2009, quando l’Arpa scoprì che il benzoapirene nell’aria di Taranto era fuori norma e chiese di effettuare dei prelievi presso le batterie, le fu negato l’accesso. Restano sullo sfondo dell’Aia, infine, la gestione dei rifiuti e degli scarichi. In base alla legge, gli esami su quelli industriali vanno fatti a piè d’impianto, ma la società ha unificato tutto in un unico collettore in cui i reflui sono mescolati all’acqua di mare utilizzata per il raffreddamento. Non è solo un problema di diluizione degli inquinanti: il cloruro di sodio falsa i test chimici.Il decreto prevede comunque che l’intero processo sia soggetto alla vigilanza di un Garante che «acquisirà dall’azienda, dalle amministrazioni e dagli enti interessati le informazioni e gli atti necessari, segnalando al governo le eventuali criticità riscontrate nell’attuazione del risanamento e dell’Aia e potrà proporre le misure idonee, tra le quali anche provvedimenti di amministrazione straordinaria». Non è ancora chiaro se i controlli del Garante si aggiungeranno a quelli delle autorità ambientali e sanitarie o, di fatto, li sostituiranno.