Il giudice di Taranto ha respinto di nuovo l’istanza di dissequestro degli impianti dell’area a caldo presentata dall’Ilva perché la nuova Aia non cancella «la situazione di emergenza ambientale e sanitaria». La Procura sta studiando le mosse per fermare il decreto approvato ieri dal governo. I sindacati sono divisi, la città vuole capire. Nel giorno più atteso, quello dell’intervento diretto del consiglio dei ministri, e dopo mesi di incertezze sono ancora molti gli ostacoli da superare nonostante il plauso del presidente della Provincia, Gianni Florido («un provvedimento forte») e la soddisfazione di Mimmo Panarelli, segretario provinciale della Fim Cisl («occasione giusta per puntare all’ecocompatibilità»). Restano infatti. oltre alle perplessità di Francesco Rizzo, rappresentante dell’Unione sindacati di base («così non si garantisce il lavoro, ma la produzione») e dell’assessore regionale alla Qualità dell’ambiente, Lorenzo Nicastro («la sensazione è che si sia tenuto assai più conto delle ragioni dell’economia che di quelle della salute dei cittadini»), le decisioni della magistratura che sembrano andare controcorrente. Con il gip Patrizia Todisco che non arretra e conferma i sigilli imposti il 26 luglio per disastro ambientale. E la Procura indecisa tra l’ipotesi di sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato o chiedere al gip di sollevare la questione di costituzionalità presso la Consulta contro il decreto legge approvato. Inoltre giovedì prossimo, il tribunale del riesame valuterà l’istanza di dissequestro del prodotto finito e semilavorato giacente sulle banchine dell’area portuale del siderurgico.Taranto, quindi, si ritrova ancora una volta divisa e dubbiosa. Non il presidente Florido per il quale «il decreto tutela i cittadini garantendo l’effettivo rispetto dell’Autorizzazione Integrata Ambientale, sia perché prevede un’eventuale sostituzione della proprietà in caso di inadempimento e dà poteri di vigilanza a un garante». Una figura, questa, che la Fim, spiega Panarelli, caldeggiava perché «è la figura giusta per assicurare l’attuazione dell’Aia». A frenare è però l’Usb: «Come si fa a mettere a norma una fabbrica con gli impianti in marcia - si chiede Rizzo -? È come aggiustare una marmitta di un automobile con il motore accesso! Lo Stato doveva sequestrare i beni ai Riva e con i soldi mettere a norma la fabbrica per poi rivenderla o affidarla di nuovo a loro ma con garanzie diverse e facendosi pagare quanto speso per l’adeguamento». «La sensazione è che il decreto confermi ancora una volta, come purtroppo da sempre fa la storia industriale mondiale, e quella italiana, il primato della produzione sull’uomo», insiste l’assessore Nicastro.Dal mondo dell’associazionismo si aspetta, prima di giudicare. Annamaria Bonifazi, referente a Taranto di Libera non entra nei nel merito, ma ribadisce «sostegno incondizionato alla magistratura e ai lavoratori. Deve pagare l’Ilva che ha lucrato senza mai investire in impianti moderni e a basso impatto ambientale. È tempo di essere tutti uniti e mantenere la guardia alta». Giuseppe è sposato da poco. Lavora in fabbrica da un decennio: «Oggi (ieri, ndr) ho tirato un sospiro di sollievo. Spero davvero che si riesca a tutelare la salute ma non potevo pensare di perdere il posto. Mia moglie è incinta, voglio regalare un futuro a mio figlio». Dall’altra parte, Cataldo Ranieri, portavoce del Comitato dei cittadini e lavoratori liberi e pensanti usa toni aspri. «Riva non tirerà mai fuori le risorse per adeguare gli impianti. Abbiamo aspettato già troppi anni. A Taranto si continuerà a morire. Noi chiediamo il fermo dell’area a caldo a patto però che tutti gli operai siano tutelati, altrimenti sapremo con chi prendercela, sempre pacificamente. Andremo a bussare alla porta di tutti i signori intercettati che hanno venduto la nostra città».