Dl Caivano. Droga: blitz Fdi sull'attenuante per lieve entità, dietrofront del governo
L'aula del Senato
Si fa movimentato l’esame del cosiddetto decreto Caivano, in corso di conversione in legge al Senato. Prima sale la tensione per la nuova stretta in materia di stupefacenti, proposta da un emendamento di Fratelli d’Italia e criticata dal centrosinistra. Poi sono le opposizioni ad alzare i toni delle proteste per l’introduzione del reato di «stesa». Quindi è il governo a fare marcia indietro sull’emendamento di Fdi. Nel complesso, il clima resta rovente in prossimità dell’esame del testo in Aula.
ll primo casus belli scoppia quando nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia, che da martedì vagliano i 300 emendamenti presentati dai partiti, il governo dà parere favorevole a quello firmato da Marco Lisei, senatore di Fdi, che propone di eliminare l’attenuante della «lieve entità» in materia di droghe, ogni qualvolta avvenga un passaggio di denaro, indipendentemente dalla quantità ceduta. Tecnicamente, la proposta si innesta sull’articolo 4 del decreto, aggiungendo un comma alla norma sugli stupefacenti che prevede l’attenuante e disponendo che «non possono considerarsi di lieve entità i fatti con finalità di lucro». Secondo Lisei, la modifica contrasterebbe «lo spaccio di strada, perché purtroppo oggi la giurisprudenza tende a considerare troppe cose di lieve entità. Se io ho tre piantine in balcone e ne consumo io il prodotto è un conto - aggiunge -, ma se invece io lo vendo, è chiaramente un altro caso». Di parere opposto è il capogruppo del Pd in commissione Giustizia, Alfredo Bazoli: «Così si mettono sullo stesso piano Pablo Escobar e lo studente che si rivende una canna al compagno. Salta il principio di proporzionalità, ed è palesemente incostituzionale. E oltretutto finiamo per riempire le carceri italiane di studenti un po’ incauti». La pensa così anche Angelo Bonelli di Avs: «Con questa mossa molte più persone, soprattutto giovani, finirebbero dietro le sbarre, anche se hanno fatto acquisti insieme ad altri, negando al giudice la possibilità di valutare ogni caso singolarmente». Ed è tagliente pure Riccardo Magi, segretario di +Europa, che la definisce «una follia giuridica», perché «già oggi in sette casi su dieci, pur con l’applicazione della lieve entità, si finisce in carcere». A suo parere, «servirebbe invece un intervento di depenalizzazione».
Dopo le prime schermaglie, i toni nelle due commissioni salgono ancora quando arriva il momento di votare un emendamento dei relatori che introduce il reato di «stesa». Il termine, nello slang di camorra, indica un’intimidazione, che consiste nell’attraversare in motorino alcune vie della città, sparando in aria e costringendo le persone a stendersi per terra. Una modalità violenta che al momento viene considerata dal diritto penale come un’aggravante. Ma le opposizioni sono insorte, nella convinzione che la mossa della maggioranza contraddica la prassi istituzionale e parlamentare secondo cui una nuova fattispecie di reato va introdotta con un disegno di legge e non con un emendamento «cotto e mangiato», per dirla con Ivan Scalfarotto di Iv.
Dopo la bagarre, la seduta viene sospesa e le opposizioni si riuniscono, per valutare una strategia comune. Nel frattempo però, l’esecutivo decide di fare retromarcia sulla proposta Lisei, superando il proprio parere favorevole e correggendo l’emendamento di Fdi. Il sottosegretario leghista alla Giustizia Andrea Ostellari chiede infatti una riformulazione della proposta Lisei: rimane l’attenuante della lieve entità e viene solo innalzata la pena minima da 6 a 18 mesi. Le opposizioni votano contro, ma riconoscono col dem Bazoli che «il governo ha evitato una soluzione devastante».
Qualche ora prima, a Palazzo dei Marescialli, si è consumata una frattura in seno al Consiglio superiore della magistratura. Il parere sul Dl Caivano, predisposto dalla Sesta Commissione, è passato in plenum con tre astensioni, tra cui quella del vicepresidente Fabio Pinelli, e nessun voto contrario. Oltre a Pinelli, si sono astenuti i componenti laici Enrico Aimi (Forza Italia) e Ernesto Carbone (Italia viva). Nel documento, pur condividendo la logica di fondo del decreto, vengono segnalate diverse «criticità». Una lettura che non è piaciuta a Pinelli, convinto che quel «parere così formulato esonda dal terreno delle considerazioni consentite al Csm» e rischia di trasformarsi «in impropria partecipazione alle politiche giudiziarie».