Il piano Caio. Il servizio? Per molti, ma non per tutti
Nel settembre dello scorso anno, il Parlamento europeo ha ribadito che il recapito della posta è un diritto e che dev’essere garantito al cittadino «almeno cinque giorni alla settimana ». In realtà, era solo l’ennesima conferma che gli Stati membri sono impegnati a garantire la consegna della corrispondenza attraverso quello che, non a caso, viene chiamato “servizio universale”.
In Italia, però, non è tale da diversi anni: con il pretesto della razionalizzazione dei costi e l’obiettivo di fare cassa attraverso la privatizzazione di Poste Italiane – che però resta di fatto concessionaria dello Stato e monopolista nel servizio postale – il governo ha autorizzato tagli agli organici e riduzioni nel servizio di recapito, mentre la società investiva pesantemente nel settore finanziario e assicurativo, dove si è posizionata come un player competitivo proprio grazie alla rete di uffici e alla reputazione create in 150 anni di investimenti pubblici.
Sul piano normativo, l’architrave del servizio universale è la direttiva n. 97/67/CE, che prevede deroghe limitatissime, alle quali si è aggrappato il governo italiano per approvare il piano di riorganizzazione di Poste Italiane; quest’ultimo postula la fine della corrispondenza cartacea e introduce la consegna a giorni alterni – lunedì, mercoledì e venerdì una settimana; martedì e giovedì la successiva, per un totale di 5 giorni di consegna su 14 di calendario –, in palese violazione con la disciplina del servizio universale e in contrasto con la volontà del- l’Europarlamento. L’assemblea di Strasburgo ha definito questo servizio «un obbligo» che non viene meno nemmeno con il calo dei volumi della corrispondenza. Il governo italiano su questo punto non ha mai dato una risposta chiara, malgrado siano fioccate le interrogazioni, anche a Strasburgo, dove l’europarlamentare del Pd David Sassoli, nel giugno del 2015, ha adombrato una violazione del diritto comunitario.
Il contenzioso è finito davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Numerosi in questi anni sono stati anche i ricorsi contro l’Agcom, che ha autorizzato la riduzione del servizio postale, e quelli dei Comuni, che hanno invocato l’intervento della giustizia amministrativa contro la chiusura degli uffici postali. In questa sollevazione popolare non sono mancati i giornali, direttamente danneggiati dalla modifica unilaterale e senza alternative imposta da Poste Italiane: Avvenire è stato tra i più attivi nel sostenere l’opposizione della Fieg e della Fisc al piano Caio. Malgrado tutto ciò, il governo non ha avuto esitazioni nel firmare – all’alba della seconda privatizzazione della società - il contratto di programma 2015-2019 che, a ripiano dei costi del servizio universale, eroga un contributo pubblico a Poste Italiane di 262,4 milioni all’anno, più 89 di “eventuali” compensazioni.