«Siete coraggiosi, ragazzi: l’egittologia è affascinante, ma sarete disoccupati a vita». Tra gli studenti del professor René Van Walsem all’università di Leiden c’era pure Christian Greco, giovane vicentino approdato in Olanda con in tasca una prima laurea in Lettere antiche presa a Pavia e il sogno di lavorare tra faraoni, mummie e papiri... «Piacere, sono il direttore del Museo Egizio di Torino», ci accoglie oggi tendendoci la mano. Che fosse giovane lo sapevamo, ma ci troviamo davanti un ragazzo e allora pensiamo che non è vero, che non siamo nel presente, certamente che non siamo in Italia... «Il mio professore aveva ragione – ride –, in genere va così, ma per me il sogno si è avverato e stento a crederlo anch’io». A 39 anni dirige il museo egizio più antico del mondo e secondo solo a quello del Cairo per ricchezza di reperti. Classico “cervello in fuga”, è ritornato sei mesi fa dall’Olanda per ricoprire una carica cui puntavano 101 candidati da tutto il mondo. «Come ho fatto? Saputo che cercavano un nuovo direttore, ho mandato la mia domanda
online e quindici giorni dopo mi è arrivata la risposta: avevano scelto me», merito delle prestigiose esperienze accumulate nel suo periodo olandese, soprattutto delle campagne di scavo in Egitto e delle tante pubblicazioni. Le fiabe, insomma, esistono: non solo ora siede sulla poltrona più invidiata dell’egittologia mondiale, ma con a disposizione 50 milioni di euro per fare del Museo di Torino un gioiello di modernità, inaugurazione il 1° aprile del 2015. «A Leiden mentre studiavo lavoravo per un’impresa di pulizie. Sono arrivato che non sapevo una parola ma ho imparato la lingua perché gli esami erano in olandese. Nel 2007 ho conseguito il master con la lode...». La “materia prima” è italianissima, insomma, ma per essere valorizzato Greco ha dovuto varcare i confini. «Qui in Italia le competenze sono massime – precisa –, dal collegio universitario Ghislieri di Pavia all’ateneo di Pisa dove ho conseguito il dottorato di ricerca, i docenti sono ottimi. Il guaio dell’Italia è che forma gli studiosi per poi cederli all’estero, soprattutto dopo l’ultima riforma dell’università che ha tagliato i fondi per le specializzazioni». Ciò non toglie che tutti dovrebbero formarsi andando anche all’estero «perché cresci umile, relativizzi, impari che non sei l’unico al mondo. Poi la ricerca egittologica è internazionale per definizione: per studiare i testi è necessario parlare bene almeno tedesco, francese e inglese, oltre all’egizio antico, medio e neoegizio, scritti sia in geroglifico che in corsivo ieratico e in demotico...». Inutile dire che Greco legge i papiri come legge il giornale e parla dieci lingue. In lui la Commissione ha visto l’uomo giusto per rilanciare un museo già oggi tra i primi 100 del mondo con mezzo milione di visitatori l’anno, ma che in passato era meta irrinunciabile per gli egittologi di tutto il pianeta: «Nel 1824 quando fu fondato accorsero tutti a Torino per studiare le magnifiche collezioni – spiega Greco –. Il primo fu Champollion, che da due anni aveva decifrato i geroglifici grazie alla famosa Stele di Rosetta e restò sbalordito, al punto che disse “La strada per Menfi e Tebe passa da Torino”. Ecco ciò che voglio: che ricominci a passare da Torino, che il “mio” museo diventi imprescindibile, com’era all’inizio del ’900. La vera sfida è far tornare la ricerca qua dentro».Da museo a centro propulsore di scoperte archeologiche il passo è lungo, ma Greco lo ha già fatto. A maggio del 2015 partiranno gli scavi nella necropoli di Saqqara (nota per la piramide a gradoni) e Greco sarà codirettore della spedizione italo-olandese, con fondi spartiti al 50%, «il regalo di Natale più bello che ho portato al Museo»; inoltre ha sottoscritto una collaborazione internazionale coordinata dai Musei Vaticani, cui partecipa pure il Louvre di Parigi, per lavorare sui sarcofagi secondo un protocollo sofisticato, e progetti per mostre con musei e università in tutto il mondo. Intanto in un’Italia ancora troppo “baronale” si è inventato le “Passeggiate con il direttore”, vestendo lui stesso i panni di guida per i visitatori: «È un’idea che ho portato dall’Olanda e ha avuto così successo che ora ne faccio quattro al mese: come ho imparato dal direttore del Metropolitan Museum of Art, nessuna istituzione esiste per diritto divino, tutte devono conquistarsi giorno per giorno il diritto di esistere, e questo me lo ripeto tutti i giorni. Io sono il fortunato cui la collettività permette di fare della mia passione il mio lavoro e la devo ripagare al meglio». Come ha fatto andando personalmente prima di Natale in Oncologia pediatrica («è il museo che esce, che va da chi non può»), per raccontare ai piccoli pazienti le avventure di Sinuhe arrivate fino a noi sui papiri, «la storia di un egizio che espatria in Siria e lì si afferma, ma alla fine decide di tornare nella sua patria, proprio come me». O quando ha contattato i giovani immigrati dall’Egitto nelle scuole torinesi: «Vorrei che fossero fieri di riscoprire le loro origini, in fondo qui riposano i loro antenati. Mi sono ispirato al Museo Egizio di Manchester dove un maxischermo accoglie i visitatori col video di una bimba che dice "Mio padre è egiziano, mia madre sudanese, veniamo dal Paese che state per visitare"...». Il 1° aprile 2015, dopo 5 anni di lavori, il Museo passerà dagli attuali 6.500 metri quadri a 12mila, inoltre «faremo i magazzini visitabili», con gli oltre 26mila reperti finora nascosti. Multimedialità e allestimenti di grande impatto scenografico faranno il resto. Ma Greco resta con i piedi per terra e ripete: «Bravo io? No, fortunato. Consapevole ogni giorno che questa fortuna può finire da un momento all’altro. Sono cattolico praticante e la fede mi insegna l’umiltà ma anche la gratitudine: quando il sogno finirà farò altro, e sarà comunque un dono enorme che ho ricevuto».