La campagna. Il rispetto per le donne comincia in famiglia. Un percorso con l'Albania
L'immagine chiave della campagna lanciata dall'Agenzia italiana per la cooperazione contro i femminicidi. Il concept è di Ernesto Spinelli, la fotografia di Lorenzo Pesce
C’è un’immagine che colpisce nella centralissima piazza Skanderbeg qui a Tirana. Tra il monumento equestre dell’eroe nazionale e il megaschermo per i mondiali di calcio, spicca un cartellone cinque metri per otto con la fotografia di una giovane donna di schiena. L’ha voluto l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) per lanciare, nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, una campagna in collaborazione con il governo albanese . L’ha chiamata “Madonna con bambino voltata di spalle”, per mostrare - ribaltando l’iconografia classica – il rifiuto totale degli abusi sulle donne. La modella, non a caso, è una vittima di violenza domestica, accolta e protetta col suo bambino in un rifugio di Valona sostenuto dal governo italiano. Perché se è vero che la piaga della tratta che ha costretto alla prostituzione in Italia tante albanesi è praticamente finita da una decina d’anni, le violenze in famiglia sono ancora una realtà presente nelle regioni rurali dell’Albania, dove vige il patriarcato e il maschilismo. E mentre l’Italia fa i conti in patria con la tragedia dei femminicidi, da tempo attraverso la cooperazione sta aiutando questo Paese sull’altra riva dell’Adriatico, vicino anche per una lunga storia comune.
La campagna dell’Aics, in collaborazione con Ambasciata d’Italia, Istituto italiano di cultura in Albania, Un Women e le ong italiane Cies e Cospe, è stata lanciata ieri nella sede del Primo ministro albanese con un confronto tra istituzioni e ong italiane e albanesi.
A dare i numeri dei femminicidi in Albania è Etleva Sheshi, direttrice delle Politiche per l’inclusione sociale e le pari opportunità del ministero albanese della Salute. Tra gennaio e settembre 2021 sono stati 6. Pochissimi, apparentemente, in realtà più che in Italia tenendo conto della popolazione: gli albanesi sono 2,8 milioni, quindi il dato va moltiplicato almeno per 20. Nei primi 9 mesi dell’anno in Albania sono state denunciate 4.136 violenze su donne, 2.402 gli ordini di protezione di vittime, 549 arresti e 54 fermi.
E l’Italia? Tiziana Montefusco, della Direzione generale della Polizia criminale, spiega che a novembre 2021 i femminicidi sono stati 104, qualcuno di meno rispetto ai 109 dello stesso periodo del 2020. In calo stalking, violenze domestiche e omicidi, in crescita le violenze sessuali. «Un tema troppo spesso confinato tra le mura domestiche – dice l’ambasciatore d’Italia in Albania Fabrizio Bucci – mentre bisogna far uscire questi crimini dall’oscurità. Questo è l’unico ambito in cui deve crescere la nostra intolleranza».
Dal 2007, spiega Stefania Vizzaccaro, direttrice dell’Aics nei Balcani occidentali, «la cooperazione italiana ha investito 10 milioni di euro in sei progetti in Albania, raggiungendo 10mila donne, permettendo a 2.500 di creare microimprese». Preziosa l’azione delle ong: Antonello Massenti del Cies, che coordina assieme al Cospe altre tre organizzazioni albanesi, racconta che sono state 4.753 le beneficiarie dei loro progetti. Tra le ong albanesi un ruolo particolare lo ha Vatra. « Nel 1997 un gruppo di donne – racconta Brikena Puka, direttrice del centro psico-sociale - decide di informare al porto di Valona ma anche nei centri rurali le ragazze attratte dai trafficanti con promesse di matrimoni e di lavori. Nel 2001 abbiamo creato il primo rifugio per le vittime di tratta rimpatriate ma rifiutate dalle famiglie. Solo quell’anno furono 421. E in un giorno arrivarono 25 minorenni».
La fondatrice di Vatra, Leda Vesko, finì nel mirino delle organizzazioni criminali: « La minacciarono, le distrussero casa, dovette mandare i figli in Italia da parenti perché glieli volevano ammazzare». La tratta è un capitolo chiuso? « Non del tutto. Il 32% delle vittime di violenza domestica finisce nel racket. Scappano dai mariti ma non hanno mezzi. E sono costrette a prostituirsi in Albania, ma anche in Italia, Inghilterra, Germania, Kosovo, Serbia». Una spirale che va interrotta.