Il ricordo. Pier Giorgio Liverani. "Sul campo" con un maestro di giornalismo e umanità
Pier Giorgio Liverani
I grandi si riconoscono da come trattano i piccoli. Tra le tante cose che vengono dette in queste ore di commozione per la morte di Pier Giorgio Liverani mi permetto di aggiungere anche un ricordo personale, derogando alla buona regola che è bene per un giornalista non scrivere mai di sé. Ma qui c’è di mezzo un maestro, di mestiere e di umanità. E un pezzo della mia storia professionale, che solo oggi vedo nella sua vera luce.
Firma prestigiosa del quotidiano dov’ero cronista d’informazione religiosa alle prime armi, Liverani era un nome al quale guardavo quasi con venerazione per anni di lettura del suo Controstampa, la rubrica alla quale probabilmente devo molta della curiosità per il nostro mestiere, con l’anticonformismo sorridente e inesorabile di quelle righe settimanali che facevano desiderare di saper scrivere (e prima ancora leggere) come lui. Fu con questa immagine consolidata del suo prestigio intellettuale che me lo trovai di fronte al Congresso eucaristico di Siena, nel giugno 1994, evento del quale curava la comunicazione e che fui incaricato di seguire nel primo vero servizio da inviato su un grande appuntamento della Chiesa. L’effetto del primo incontro fu spiazzante: un giornalista del suo livello mi accolse come se ci rivedessimo dopo molto tempo, un collega atteso e non un pivello. Restai senza parole davanti alla cordialità di quel primo incontro che ricordo come fosse ieri. Smorzò all’istante la mia apprensione per avere inaspettatamente a che fare con lui, e per un lavoro che mi inquietava non poco, vista l’inesperienza sul campo. E di buon grado mi affidai alla sua paziente guida. Giorno dopo giorno, mi introdusse a cardinali famosi e persone ignote ma preziose, giornalisti navigati e fonti locali, con l’aria di chi ha tutto sotto controllo, sa cosa va fatto in ogni momento, ma non prende troppo sul serio sé stesso e quel che accade, come rimandando sempre a qualcos’altro che conta di più. Un senso del limite che andava insieme al massimo scrupolo nel lavoro. Lo osservavo, imparando che bisogna mettere ogni cura in quel che si fa ma con la consapevolezza che non dipende tutto da noi. Preciso ed elegante, dava lezioni di stile con la sua naturalezza da gentiluomo, condita da uno humour garbato e irresistibile, restando sempre mezzo passo indietro rispetto a chi amava prendersi la scena. Le parole gli fluivano come se fossero il vestito ritagliato sulla misura di pensieri argomentati e diretti. Fotografava le persone in due frasi, conoscitore di un’umanità verso la quale nutriva sensibilità, rispetto e comprensione, come a ricordare che siamo tutti della stessa fragile pasta. Ricordo giorni entusiasmanti di lavoro, come sulle ali di una scoperta continua, per mano a quello che mi fu per pochi, indimenticabili giorni padre e amico.