Attualità

Profughi. Il respingimento selettivo degli afghani

Ilaria Sesana domenica 22 novembre 2015
Habib voleva fare la sua parte per rendere l’Afghanistan un posto migliore. Per questo si era iscritto all’accademia di polizia di Kabul. «Volevo servire la mia gente e rendere l’Afghanistan un posto più sicuro». Un sogno ambizioso per un ragazzo di vent’anni, che però ai talebani non è piaciuto. «Mi è arrivata una lettera di avvertimento. Ma l’ho ignorata e ho continuato i miei corsi – racconta –. Per ritorsione i taliban hanno ucciso le mie due sorelle e due miei fratelli. Solo mia madre e il più piccolo si sono salvati». Oggi, quel che resta della famiglia di Habib vive in Pakistan, mentre il ragazzo è fuggito in Europa. Iran, Turchia, quattro giorni di viaggio in Bulgaria bevendo l’acqua dalle pozzanghere, infine Subotica in Serbia, al confine con l’Ungheria. Il suo viaggio non è ancora terminato: Germania o Italia, le possibili destinazioni finali dove vuole chiedere asilo. Camminando lungo la Rotta dei Balcani imbattersi in storie come quella di Habib è molto frequente. Ci sono poliziotti, ma anche insegnanti, agricolto- ri, artigiani e tanti adolescenti in fuga da Kabul, Kunduz, Paktia che sognano di rifarsi una vita in Europa. Eppure si parla poco della grave crisi umanitaria che attraversa l’Afghanistan che, solo nel 2014, ha spinto alla fuga più di 2 milioni e 590mila afghani. Preceduti solo dai siriani (3 milioni 880mila profughi) nella triste graduatoria compilata ogni anno dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. La maggior parte dei profughi afghani trova rifugio nel vicino Pakistan, dove però le condizioni di vita sono difficili. E così molti scelgono di mettersi in viaggio verso l’Europa. Nel 2014 sono state 42.745 le richieste d’asilo presentate dai cittadini afghani (+54% rispetto al 2013) mentre nei primi sei mesi del 2015, il loro numero ha raggiunto quota 40mila. Chi guarda all’Afganistan dall’Europa è portato a pensare che la guerra nel Paese sia finita, ma non è così. «Opposizione e governativi si dividono il Paese. Si combatte in 25 province e anche a Kabul ci sono stati diversi attentati», spiega Luca Radaelli, responsabile dei progetti di Emergency in Afghanistan. Ai primi di agosto una serie di esplosioni hanno devastato la capitale, provocando 35 morti e oltre 400 feriti: «Abbiamo ricoverato 92 pazienti in una sola notte». Un conflitto strisciante e senza fronti definiti che però, secondo l’Onu, nella prima metà del 2015 ha provocato circa 5mila vittime tra i civili, tra cui 1.592 morti. «Un altro problema è la presenza dell’Is – aggiunge Abdul Ghafoor, del Refugees support network, associazione con sede a Kabul – Ma non è solo questione di sicurezza: il governo non riesce a garantire ai giovani un lavoro o prospettive per il futuro, che darebbero loro una ragione per restare». Gamal, 24 anni, era uno studente di medicina a Kabul: ha fatto domanda per poter completare i suoi studi in Italia, «ma non ho mai ottenuto il visto». Ha deciso di partire comunque e di entrare in Italia per chiedere asilo. Lo abbiamo incontrato alla stazione Nyugati di Budapest, cellulare in mano, in attesa della chiamata del suo agent, come gli afghani chiamano i trafficanti di esseri umani. Gli afghani hanno buone possibilità di ottenere asilo politico in Europa. «Il 70% ha una risposta positiva – spiega Christopher Hein, del Consiglio italiano per i rifugiati –. In Italia sale al 96%». Eppure, per diversi stati europei, non tutti gli afghani hanno diritto a ottenere protezione. Inghilterra, Norvegia, Svezia e Danimarca, ad esempio, selezionano in base alla regione di provenienza. Una decisione basata su una normativa comunitaria che consente 'L’alternativa di fuga interna', la possibilità cioè di mettersi al riparo da guerre e persecuzioni spostandosi in un’altra regione del Paese. «Un approccio sbagliato – commenta Hein –. In Afghanistan le situazioni cambiano in tempi brevi. Lo abbiamo visto con i bombardamenti americani sull’ospedale di Medici Senza Frontiere a Kunduz: un’area relativamente calma che all’improvviso è stata occupata dai talebani». Abdul è uno delle centinaia di profughi afghani deportati negli ultimi anni. Aveva solo 14 anni quando ha lasciato l’Afghanistan per la prima volta: «Tutta la mia famiglia era stata uccisa – racconta –. Ho venduto la casa e le terre di mio padre per raccogliere i soldi necessari al viaggio». Dopo aver attraversato mezza Europa arriva in Inghilterra, ma una volta maggiorenne la sua domanda d’asilo viene respinta: «Mi hanno riportato in Afghanistan ». Sradicato e senza familiari, prova a costruirsi una nuova vita. «Ma se lavori con il governo o con i militari sei morto. Così ho deciso di partire di nuovo». Tra il 2013 e il 2014 sono stati 1.882 i profughi afghani rimandati indietro, mentre nel 2015 il loro numero è sceso a 229 perché il governo ha fatto pressione su quelli europei per fermare i rimpatri. A soli 20 anni, Abdul è profugo per la seconda volta: «Ma avevo lavorato mentre vivevo in Inghilterra e ho potuto pagare un agent per partire di nuovo». Sono arrivato al confine di Tarvisio, dove ha chiesto asilo. Stavolta con esito positivo.