Primo piano. Il prodotto tipico è un falso: materie prime dall'estero
Il dilagare di falsi prodotti alimentari italiani sta provocando una strage fra le aziende agricole dello Stivale. Questo, almeno, è ciò che affermano i coltivatori diretti che ieri hanno bloccato il valico del Brennero.I produttori, in effetti, snocciolano numeri da paura. «Con la crisi – spiegano – sono state chiuse in Italia 140mila stalle e aziende anche a causa della concorrenza sleale dei prodotti di minor qualità importati dall’estero che vengono spacciati come Made in Italy». Con tutto ciò che ne consegue in fatto di occupazione e tutela dell’ambiente. Per capire meglio, basta dire che solo nell’ultimo anno – sempre stando ai calcoli dei coltivatori diretti – sono scomparse 32.500 stalle e aziende agricole e persi 36mila occupati nelle campagne, «con impatti – spiegano – devastanti sulla sicurezza alimentare e ambientale dei cittadini. La chiusura di un’azienda agricola significa infatti maggiori rischi sulla qualità degli alimenti che si portano a tavola e minor presidio del territorio, lasciato all’incuria e alla cementificazione».E non solo, perché conterrebbe materie prime straniere circa un terzo (33%), della produzione complessiva dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati con il marchio Made in Italy, all’insaputa dei consumatori. Sostanzialmente un piatto su tre in Italia è fatto solo con materie prime alimentari che arrivano dall’estero. Tutto a causa dell’aumento esponenziale delle importazioni di materie prime alimentari che, una volta nel nostro Paese, sono trasformate in prodotti tipici nostrani. Dall’inizio della crisi ad oggi – dice ancora la Coldiretti –, le importazioni di prodotti agroalimentari sono aumentate in valore del 22%. Gli arrivi di carne di maiale sono cresciuti del 16%, mentre le importazioni di cereali, pronti a diventare pasta e riso "italiani", hanno fatto registrare addirittura un vero e proprio boom (+45%), con un +24% per il grano e un +49% per il riso. In crescita anche gli arrivi di latte (+26%); così come quelli di frutta e verdura (+33%). Ci sono poi casi da manuale come quelli del pomodoro fresco (+59%), e di quello concentrato (+32%). Ma aumentano anche gli arrivi di succo di frutta dall’estero, +16%.E si delinea una situazione che preoccupa anche dal punto di vista generale. Oggi l’Italia – sottolinea infatti la Coldiretti – produce appena il 70% dei prodotti alimentari che consuma ed importa il 40% del latte e carne, il 50% del grano tenero destinato al pane, il 40% del grano duro destinato alla pasta, il 20 del mais e l’80 della soia. Il nostro Paese è autosufficiente solo per ortofrutta, vino e pollame.Alla base di questa situazione, secondo i coltivatori, la ricerca sul mercato mondiale di materie prime di minor qualità pur di risparmiare. E gli esempi non mancano. Basta pensare al concentrato di pomodoro cinese, all’olio di oliva tunisino, poi al riso vietnamita e al miele cinese. Peraltro l’80% degli allarmi alimentari è stato provocato da prodotti a basso costo provenienti da Paesi fuori dall’Unione Europea e a salire sul podio – spiegano i produttori –, sono stati nell’ordine la Cina, l’India e la Turchia ma a seguire anche Usa, Spagna,Thailandia, Polonia e Brasile. Si tratta di Paesi che alimentano un forte flusso di importazioni verso l’Italia.Ma di chi è la colpa di tutto ciò? Per i coltivatori è chiaro: un modello di sviluppo industriale sbagliato. Un modello produttivo che ha tagliato del 15% le campagne e fatto perdere negli ultimi venti anni 2,15 milioni di ettari di terra coltivata. Ogni giorno viene sottratta terra agricola per un equivalente di circa 400 campi da calcio (288 ettari), con il risultato che è aumentata la dipendenza degli italiani all’estero per l’approvvigionamento alimentare.