Mentre il premier dichiara ai tg nazionali che «non sono pensabili esecutivi con chi ha perso le elezioni», l’intera area moderata del Pdl - Frattini, Scajola, Fitto - è impegnata in vorticose telefonate che hanno il baricentro in Gianni Letta. «Gianni, tu sei l’unico che può ancora farlo ragionare. Votare ora è un massacro, dove ci presentiamo? Siamo spaccati in due, non abbiamo il candidato premier, su Angelino c’è un mare d’invidia...», dicono i maggiorenti azzurri al sottosegretario. È un fronte ampio, che alle Camere si traduce nella quasi totalità degli ex forzisti, e che soprattutto ha un filo diretto con Alfano. Solo l’azione congiunta tra il segretario politico e Letta, ragionano, può far desistere Berlusconi dagli intenti più bellicosi.Le colombe - dall’altra parte della barricata ci sono ex An, ex socialisti e "falchi" pronti a sostenere il Cavaliere nella campagna elettorale - vogliono evitare le urne, e sono sempre più sensibili alle "larghe intese". Basta verificare in Transatlantico, dove gli uomini a loro più vicini si dicono disposti ad accettare «qui e ora» Mario Monti o lo stesso sottosegretario, o entrambi in ticket (Letta è tuttora la "garanzia" offerta al premier per vincerne le resistenze). E Alfano? «Il suo nome è saltato più per le nostre divisioni che per le resistenze delle opposizioni», confida una deputata. Anche Tremonti è annoverato tra quelli che scanserebbero volentieri le urne e che, in fondo, vanterebbero qualche velleità per traghettare il Paese fuori dalla crisi. Ma c’è consapevolezza del rapporto incrinato tra Tesoro e gruppi parlamentari.Ma Berlusconi non vuole sentire ragioni. Ed è sempre Gianni Letta che, in piena notte, mentre il premier invoca lo scioglimento delle Camere, prova a fargli capire la gravità della situazione: «Guarda che così, se obblighi tutti al voto, i nostri si sfilano tre alla volta e se ne vanno da Casini. Quelli lo fanno nascere dall’interno il gruppo che vota il governo tecnico». Si riferisce ai tanti scontenti che hanno maturato una certezza: nelle prossime votazioni non ci sarà spazio per loro nelle liste. E se ci sarà, il risultato potrebbe essere così gramo da non permettergli l’elezione. Una stima parla di 60 deputati e una ventina di senatori. Solo ieri sera sono arrivati segnali inquietanti dal fedelissimo avvocato Luigi Vitali e da Giuliano Cazzola. In serata l’area di Scajola si raduna e conferma: «No alle elezioni, altrimenti comincia il fuggi fuggi», dice un fedelissimo dell’ex ministro, confermando l’ipotesi del gruppone autonomo pro-responsabilità nazionale. «Non abbiamo fatto tutto questo per andare a votare», confessano i malpancisti riuniti per valutare i prossimi passi.Insieme a Berlusconi, l’altro ostacolo per un esecutivo di larghe intese sembra essere Umberto Bossi. Ieri mattina il Senatur si è rivolto al premier con queste parole: «Secondo me devi fare un passo di lato, potresti lasciare ad Angelino. Però devi decidere tu, io sarò leale fino alla fine». Anche durante il vertice notturno di palazzo Grazioli il leader del Carroccio ha sostenuto la linea delle urne. «Il futuro? Chiedete a Napolitano», ha glissato in tarda serata. Poi ha dettato il titolo a "la Padania": «Legge di stabilità, poi il voto. Lega contraria a esecutivi tecnici». Al summit Bossi si è presentato in camicia verde, a dimostrare che ora inizia la fase della "Lega di battaglia". C’era anche Maroni, considerato dai tessitori delle larghe intese il più sensibile ad una transizione soft, vista la sua ambizione a governare nel medio termine il partito del Nord.La sintesi del dibattito interno la dà Gaetano Quagliariello: «Le larghe intese sono possibili solo se non perdiamo il bipolarismo, se conserviamo la nostra identità e se non si cancellano questi 17 anni. E in nessun caso è possibile un governo che ci separi dalla Lega». È un punto discriminante: evitare le urne non può tradursi nella rottura dell’asse con il Carroccio. Su questo, almeno, convengono tutti.