Assegno invalidità. Le famiglie dei disabili: no a ricatti sul futuro dei nostri figli
La mobilitazione delle famiglie e delle associazioni dei disabili ha convinto il governo a prevedere il ripristino dell’assegno ai disabili parziali anche se lavorano. Nei giorni scorsi ha fatto molto scalpore la decisione dell’Inps - presa sulla base di recenti pronunciamenti della Corte di Cassazione (17388/2018 e 18926/2019) - di non corrispondere più l’assegno mensile di 287 euro agli invalidi parziali (dal 74% al 99%) che svolgevano una qualsiasi attività lavorativa retribuita, anche se non superavano la soglia di reddito annuo di 4.931 euro. Limite finora fissato per poter avere diritto all’integrazione dell’Inps pur in presenza di uno “stipendio” da lavoro. Che, nella maggior parte dei casi, si traduce in semplici lavoretti, utili, però, ad integrare l’esiguità dell’assegno statale e, soprattutto, necessari per consentire alla persona disabile di esprimere le proprie capacità e sentirsi utile alla società.
Proprio su quest’ultimo punto hanno tanto insistito le famiglie dei disabili e le associazioni che le rappresentano. «Perché vogliono privare mio figlio di un lavoro che gli piace e gli consente un minimo grado di autonomia e soddisfazione personale?», chiede una mamma di Modena che, come altre decine di persone, ha chiamato in questi giorni la redazione di Avvenire per sollecitare la revisione della decisione dell’Inps. «Smettere di lavorare equivale a a smettere una terapia, con tutte le conseguenze del caso», dichiara al Giornale di Brescia, Carlo Fenaroli, presidente del Consorzio Cascina Clarabella che, tra Iseo e Corte Franca, si occupa di integrazione lavorativa di persone fragili.
Il primo, dirompente, effetto dell’abolizione dell’assegno all’invalido parziale che percepisce una qualche forma di reddito da lavoro, non importa di quale entità, è proprio porre la persona già in condizione di fragilità davanti alla drammatica e ingiusta alternativa di scegliere tra l’assegno e il lavoro. Decisione che, per chi non può contare sul sostegno della famiglia, significa scivolare inesorabilmente sotto la soglia di povertà, dato che con 287 euro non si arriva certo alla fine del mese (e nemmeno a metà).
Da qui la «grande preoccupazione» di realtà come la Fish, la Federazione italiana per il superamento dell’handicap, che ha rappresentato il problema durante un recente incontro con la ministra della Disabilità, Erika Stefani e ora attende gli sviluppi della situazione, sollecitando l’Inps a temporeggiare fino a quando non sarà trovata una soluzione definitiva.
Il pressing della società civile sulla politica è continuato anche sulla rete Internet. In pochi giorni una petizione lanciata su Change.org dall’associazione “Pepitosa in carrozza” ha raccolto oltre 25mila firme. «La gravità di questa decisione non può passare inosservata – si legge nella petizione –: l’impatto, al di là del residuale “risparmio” per le casse Inps, è deleterio per le persone con disabilità già a bassissimo reddito, per le loro famiglie, per la possibilità di svolgere lavori con orari limitati e magari con finalità più terapeutiche e socializzanti, che di reale sostentamento».
A «fare chiarezza» invitano anche le deputate e i deputati del Movimento 5 stelle in commissione Affari sociali della Camera, mentre «l’immediato ripristino dell’assegno» è chiesto dall’assessora regionale alle Politiche sociali della Toscana, Serena Spinelli e di «ingiustizia verso i disabili» che si traduce in «istigazione al lavoro nero» parla il segretario generale della Confsal, Angelo Raffaele Margiotta, in una lettera al presidente del Consiglio, Mario Draghi. Per un incremento dell’assegno sta lavorando il senatore Antonio Saccone, portavoce nazionale dell’Udc. «Si tratta di un impegno di spesa che oscilla tra i 400 e i 500 milioni di euro – spiega Saccone – che porterebbe ad un significativo aumento di questi assegni di almeno 100 euro al mese per una platea di poco meno di mezzo milione di persone».
Questa grande mobilitazione ha portato il governo a prevedere il ripristino dell’assegno. In sede di conversione del decreto fiscale, infatti, il ministro del lavoro, Andrea Orlando, presenterà un emendamento che riporterà il riconoscimento dell’assegno di invalidità ai disabili parziali, indipendentemente dallo svolgimento di un’attività lavorativa, dove quest’ultima non determini il superamento del limite di reddito considerato come condizione per l’accesso alla prestazione.
La sentenza della Corte di Cassazione
Il messaggio del’Inps numero 3945 del 14 ottobre discende dai pronunciamenti della Corte di Cassazione (17388/2018 e 18926/2019) secondo cui «il mancato svolgimento dell’attività lavorativa, integra non già una mera condizione di erogabilità della prestazione ma, al pari del requisito sanitario, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio».