Attualità

LE REAZIONI. Il premier va allo scontro con i giudici e il Quirinale

Arturo Celletti giovedì 8 ottobre 2009
È ancora mattina quando Gianni Letta guarda Berlusconi e scuote la testa. Il premier capisce subito, ma per qualche secondo resta in silenzio. Poi, sottovoce, interroga il sottosegretario: «Illegittimo?». Letta non risponde, ma la risposta non serve. «Non ci ho mai creduto, non ci ho mai creduto... Con una Corte costituzionale con undici giudici di sinistra era impossibile che lo approvassero». Le ore che seguono sono ore per interrogarsi. Per ipotizzare una strategia, un piano. E alla fine la strada è una sola. Obbligata. Berlusconi andrà avanti. Governerà per «cinque anni con o senza lodo». Perché «c’è un programma da completare e un impegno con gli elettori». E parallelamente «affronterà i processi a viso aperto» convinto che alla fine «le accuse infondate e risibili cadranno sotto il vaglio di magistrati onesti».Oggi c’è una sola linea. La linea di Berlusconi-Bossi. «Andiamo avanti, non ci piegano», ripete il capo della Lega prima di entrare in una riunione del gruppo. È la linea anche del premier? Bossi annuisce e conferma dichiarazioni ufficiali e retroscena privatissimi: «Nemmeno Silvio vuole le elezioni anticipate... L’ho trovato forte, deciso a combattere e questo mi ha fatto molto piacere...». Già combattere. Per il Paese e per se stesso. Per trovare una soluzione alla crisi economica. E per uscire indenne dalle aule giudiziarie. «I processi che mi scaglieranno sul piatto sono autentiche farse... Sottrarrò qualche ora alla cura della cosa pubblica per andare là e sbugiardarli tutti», ripete Berlusconi sui cancelli di palazzo Grazioli quando è già buio. Poi, stringendo i pugni, scandisce l’avvertimento: «Queste cose caricano me e caricano gli italiani.Viva gli italiani, viva Berlusconi!».All’improvviso l’aria è pesante e la tensione alta. Berlusconi attacca a testa bassa. La Corte? «Non è un organo di garanzia, è un organo politico». Dietro quelle parole si agita un progetto: rivedere i criteri di nomina dei giudici Costituzionali. Berlusconi non si sbilancia, ma ammette: «Abbiamo giudici della Corte Costituzionale eletti da tre capi di Stato di sinistra, che fanno della Corte non un organo di garanzia, ma un organo politico». Ecco l’affondo più duro. L’atto d’accusa contro Giorgio Napolitano. I cronisti vogliono capire e Berlusconi non fa marcia indietro: «Il Capo dello Stato sapete voi da che parte sta». Sono parole destinate a lasciare il segno, ma Berlusconi qualche ora prima aveva confidato rischi e paure: «Nulla sarà più come prima... La scelta di una Corte totalmente sbilanciata a sinistra dà un contributo decisivo al deterioramento della dialettica politica». Insomma è guerra con le opposizioni. Ed è guerra con il Quirinale. Napolitano replica: «Io sto dalla parte della Costituzione». Ma Berlusconi oramai sembra deciso a chiudere i conti e affonda ancora: «Non mi interessa quello che ha detto il Capo dello Stato, mi sento preso in giro e non mi interessa. Chiuso!». L’atto d’accusa sembra infinito. «Abbiamo una minoranza di magistrati rossi organizzatissima che usa la giustizia a fini di lotta politica. Il 72 per cento della stampa è di sinistra. Gli spettacoli di approfondimento della tv pubblica pagata con i soldi di tutti, sono di sinistra. Ci prendono in giro anche con gli spettacoli comici...». In questo quadro deve governare. E deve affrontare i processi. «Vogliono sfasciare il Paese, vogliono portarlo al fallimento», ripete sottovoce il premier. C’è sgomento. Quasi incredulità. E soprattutto non c’è un’idea su come contrattaccare. Anticipare i tempi per una grande manifestazione di piazza? Berlusconi è perplesso, Fini evita qualsiasi commento, ma Bossi proprio al termine di una colazione di lavoro con il presidente della Camera suona la carica: «Abbiamo parlato di elezioni... Io non le voglio, Fini non le vuole... Dobbiamo fare le riforme altrimenti che cosa diciamo alla gente». E in serata ambienti della presidenza della Camera fanno sapere che Fini avrebbe avuto una lunga telefonata col premier per assicurargli il «rispetto» del patto con lui e Bossi. Ma questo prima delle polemiche di Berlusconi col Quirinale.Bossi, intanto, bluffa e, facendo finta di non conoscere l’oramai certa decisione della Consulta, spedisce l’ultimo avvertimento ai giudici costituzionali: «Io sono per la saggezza... Chi vuole sfidare l’ira dei popoli?». È un interrogativo inutile. Un pressing inutile. La scelta è presa, la guerra aperta. Bossi  avverte: «Ora le elezioni regionali saranno come elezioni politiche. Il popolo sarà chiamato ad esprimersi su Berlusconi che stravincerà. Soprattutto con alleati come noi». Il premier alterna affondi rabbiosi a note ufficiali cariche di moderazione. In una di queste conferma la volontà di «rispettare il responso della Corte Costituzionale nel quadro di un sistema democratico», ma avverte: «Prendo atto tuttavia che questo sistema, soprattutto per le modalità con cui vengono eletti i membri della Corte, rischia di alterare nel tempo un corretto equilibrio fra i poteri dello Stato, i quali traggono tutti origine dalla sovranità del popolo». Un messaggio al quale potrebbe nei prossimi giorni seguirne un altro: sia il popolo a eleggere i giudici della Consulta.