«Io ho tre lavori, il primo è far uscire il Paese dalla crisi economica, il secondo è la ricostruzione in Abruzzo e il terzo è far fare all’Italia bella figura al G8. In una situazione come questa, potevamo avere una crisi di governo?». Silvio Berlusconi, arriva nella tendopoli di Picenze nel comune di Barisciano, e non aspetta le domanda. Ora vuole solo difendersi dalle critiche sul referendum e sulla Lega. E per farlo rivela un retroscena: se fosse passato l’election day la Lega avrebbe fatto cadere il governo. Parla per chiarire il premier. Per spiegare che la sua è stata una scelta di responsabilità, una decisione per il bene del Paese. «Abbiamo rinunciato a un fatto molto positivo come l’andare verso un sistema bipartitico», dice Berlusconi che senza cambiare tono sferra l’affondo che a tutti sembra diretto verso il presidente della Camera: «Mi dispiace che altri interpretino come debolezza una scelta che se non fosse stata presa avrebbe fatto cadere il governo». La decisione è presa e ora tornare indietro appare impossibile. Niente election day e presto via libera al 'mini accorpamento' referendum-ballottaggi il 21 giugno. «La decisione è presa, sono convinto che sarà confermata nell’ufficio di presidenza del Pdl che si riunirà tra poche ore», ripete il premier che spedisce la nuova 'cartolina': «Le polemiche sono fuor di luogo, ma non mi toccano perché bisogna pensare al benessere dei cittadini». Le domande si accavallano. Qualcuno azzarda: l’election day avrebbe fatto risparmiare risorse da destinare alla ricostruzione dell’Abruzzo. Berlusconi replica: «Gli sprechi? Li ridurremo al minimo indispensabile, accorpando referendum e ballottaggi». Le ore scivolano via. E più tardi il premier, al termine di un sopralluogo nel centro dell’Aquila, 'regala' altre motivazioni al no all’election day: molti hanno avanzato dubbi e perplessità di tipo costituzionale. E, in certe città, «gli elettori avrebbero avuto 7 schede con sistemi di voti diversi. Qualunque persona con la mia ragguardevole età avrebbe avuto delle difficoltà». A metà pomeriggio si aspetta solo il vertice del comitato di presidenza del Pdl fissato in serata a Palazzo Grazioli per la scelta della data. Al termine, tutto verrà affidato al premier: deciderà lui se mantenere la scelta del 21 giugno oppure rinviare la consultazione referendaria di un anno, farà sapere Ignazio La Russa, che propende per questa seconda ipotesi. La pensa come lui, sul versante opposto, Massimo D’Alema del Pd, secondo il quale «il rinvio di un anno della celebrazione del referendum può essere utile per riproporre in Parlamento una coraggiosa e radicale riforma della legge elettorale». Berlusconi, comunque, è deciso: «Bisogna scegliere una data che sia il meno peggio. Andremo per questo alla data dei ballottaggi», ripete il premier che sferra il nuovo attacco a chi nelle ultime ore l’ha criticato: «Davanti alla necessità di dover ricostruire un’intera provincia queste polemiche sono fuori luogo». Chi è in Abruzzo al seguito del premier legge quelle parole come un atto d’accusa non solo contro l’opposizione, ma anche contro Fini. Ma il premier precisa: «Nessuna polemica con Fini sul referendum. Ho solo risposto all’opposizione che ci ha accusato di disperdere i fondi dello Stato. Le cifre diffuse non sono quelle vere, ma molto meno, per questo abbiamo abbinato referendum e ballottaggi ». La polemica divampa. L’Idv attacca. E il Pd anche. «La Lega ha ottenuto ancora una volta un cedimento da parte di Berlusconi», cedimento – dice Franceschini – che «noi chiameremo 'Bossi-tax', perché è una tassa che dovranno pagare tutti gli italiani».