Attualità

IL FUTURO DELL'ESECUTIVO. Il premier chiama i moderati: prima la fiducia, poi l’alleanza

Giovanni Grasso martedì 14 dicembre 2010
Tutto quello che Fini e Casini stanno chiedendo in questi giorni in termini di programma sarà possibile solo se il governo riceverà la fiducia. Nei suoi interventi (ha parlato due volte al Senato e una alla Camera) il presidente del Consiglio si è giocato molte carte per convincere gli ex alleati di Fli (o una parte di loro) a rientrare nei ranghi. Alternando la mozione degli affetti (ricordando i bei tempi della fondazione del Pdl), gli appelli alla responsabilità politica in una temperie di crisi, le accuse di complottare o, comunque, fare il gioco politico della sinistra e, soprattutto, la promessa di aprire una fase nuova. Che comporterebbe la riunione di tutti i moderati (il riferimento all’Udc è tutt’altro che casuale), ritocchi nella compagine di governo, la disponibilità a discutere del documento Confindustria-parti sociali, nuovo impulso al programma e persino a violare il tabù della legge elettorale, a condizione che non si metta in discussione il bipolarismo. Un appello alla responsabilità, alla ragionevolezza –«che la notte vi porti consiglio», ha concluso così al Senato – che vale per i finiani, ma anche «per chi non era con noi nelle elezioni del 2008». Ovvero ai parlamentari dell’Udc. Se le forze moderate votassero la fiducia «si eviterebbe una crisi al buio e si consentirebbe il completamento delle cinque azioni programmatiche votate a settembre». Ma tutto questo, fa capire chiaramente Berlusconi, ha un prezzo. Ovvero che il governo non sia sfiduciato. Altrimenti, dietro l’angolo ci sono solo le elezioni. E non certo il governo istituzionale, che altro non sarebbe che una politicamente immorale «alleanza camuffata con la sinistra per questa legislatura». È stato un discorso abile, che ha puntato soprattutto– con esiti positivi –  a fare esplodere le contraddizioni all’interno di Fli e di altri deputati tentati dall’appello alla responsabilità o terrorizzati dall’idea di tornare alle urne con un esito di rielezione incerta. Un po’ quello che i latini definivano con un icastico motto: primum vivere, deinde philosophari. Tradotto nel linguaggio politico corrente: portare a casa la fiducia e, poi, dopo aver assestato una bastonata clamorosa sul capo di Fini, Casini e Rutelli, mettersi al tavolo della trattativa. Con la speranza di coinvolgere Udc e Fli nell’area di governo,  o se questo non riuscisse, con la volontà di continuare la campagna acquisti di singoli deputati dalle formazioni moderate, in modo di riuscire a portare a casa quel gruppo di deputati in più che consenta al governo di approvare i suoi programmi con un margine di sicurezza. Non è un caso che Berlusconi, nei suoi discorsi, non si sia mai rivolto personalmente ai leader di Udc, Fli e Api, ma abbia fatto appello alla responsabilità dei singoli parlamentari. E che abbia anche promesso al Partito liberale (unico rappresentante in Parlamento: Paolo Guzzanti, dato fino all’ultimo tra gli incerti) di aprire il capitolo delle privatizzazioni da loro richiesto. Oggi si vedrà, dopo una notte di trattative, se il gioco riuscirà. Berlusconi, spalleggiato dai suoi e da Bossi, sempre seduto al suo fianco sia alla Camera che al Senato, è comunque convinto che i numeri saranno dalla sua parte. E questo spiega anche la decisione, anticipata da Bossi e confermata da Bonaiuti poco dopo, di rimandare al mittente l’ultima proposta di Fli: ovvero, le dimissioni in cambio dell’astensione al Senato.Di dimissioni, dunque, manco a parlarne. Con i suoi Berlusconi parla di «un diktat inaccettabile». Sarebbero il riconoscimento del fallimento dell’esecutivo e anche suo personale. Mentre il governo, a suo parere, ha ben operato, anche se l’opposizione ha fatto di tutto per disconoscerne i tanti meriti. Che vanno anche al di là dell’azione di governo e che toccano una fase politica del Paese: «L’unità dei moderati è il frutto più prezioso del mio ultradecennale patrimonio politico. Nessuno può essere così irresponsabile da distruggerla volontariamente o involontariamente», sottolinea Berlusconi. E aggiunge : «Oggi non è in gioco il presidente del Consiglio. Il nostro Paese ha bisogno di stabilità e di governabilità. Garantire la stabilità è la prima condizione per mettere in sicurezza il Paese e l’unità dell’area moderata». Conclusione: «Se otterremo la fiducia lavoreremo per ricomporre l’unità dei moderati a partire da chi è con noi nella stessa famiglia europea del Ppe e per rafforzare la squadra di governo». Durante la replica al Senato, come si diceva, Berlusconi si è tolto qualche sassolino dalla scarpa. Respingendo le dure critiche del vicecapogruppo del Pd Luigi Zanda sulla politica estera, ha detto: «Giuro sui miei figli che non un solo dollaro è entrato nelle mie tasche» dagli affari dell’Italia con la Russia. E ha contrattaccato ricordando quando la sinistra «dialogava con l’Urss».