Attualità

Sabato. Il popolo della pace in piazza per Gaza: «Cessate il fuoco, diritti per tutti»

Luca Liverani venerdì 8 marzo 2024

La bandiera arcobaleno

La guerra a Gaza continua a uccidere e distruggere. E la società civile, che non si rassegna all’inazione degli stati, scende di nuovo in piazza. La manifestazione di sabato 9 marzo a Roma è l’ennesima tappa di una mobilitazione di associazioni, movimenti, sindacati. Solo il 24 febbraio si è celebrata la Giornata nazionale convocata dalle coalizioni AssisiPaceGiusta e Europe for Peace in 120 città. A convocare l’appuntamento domani nella Capitale è di nuovo Assisi Pace Giusta, assieme - tra gli altri - a Rete Pace e Disarmo, Cgil, Acli, Anpi, Arci, Aoi, Comunità Papa Giovanni XXIII, Emergency, Fondazione Finanza Etica, Fondazione PerugiAssisi, Movimento Nonviolento, Pax Christi, Legambiente, Libera, Sbilanciamoci, Un ponte per.

In piazza «per chiedere il cessate il fuoco a Gaza e per riaffermare il pieno diritto di manifestare liberamente e pacificamente come ricorda la Costituzione italiana». La piattaforma della manifestazione parla di cessate il fuoco, no al genocidio, assistenza umanitaria a Gaza, liberazione di ostaggi e prigionieri, riconoscimento dello Stato di Palestina sulla base delle risoluzioni Onu, Conferenza internazionale per la pace in Medio Oriente.

Appuntamento alle 12,45 in Piazza della Repubblica, corteo - aperto da giovani e studenti dietro lo striscione “Cessate il fuoco” - lungo Via Cavour, conclusione ai Fori Imperiali. Sul palco niente politici, ma testimonianze e contributi: la cantante Fiorella Mannoia all’indomani dell’8 Marzo ricorderà che le donne sono le prime vittime delle guerre; poi gli attori Alessandro Bergonzoni, ed Elio Germano che parlerà dell’incubo umanitario dando voce alla Corte Internazionale di Giustizia; Chiara Avesani, della redazione di Presa Diretta, rilancerà l’appello “Basta sangue sui nostri giubbotti”, per denunciare la strage dei giornalisti (103 uccisi a Gaza secondo Reporters sans frontères); Alfio Nicotra racconterà della carovana umanitaria che nei giorni scorsi ha portato ong e parlamentari al varco di Rafah, dove sono bloccati centinaia e centinaia di tir carichi di aiuti, mentre al di là del confine i civili scampati alle bombe muoiono per mancanza di cibo e medicinali.

«La manifestazione è un atto politico - premette il presidente Acli Emiliano Manfredonia - per far emergere il disagio dei cittadini che dicono basta a questi orrori. L’Italia ha la responsabilità politica di avviare un dialogo, nel solco della sua tradizione diplomatica con arabi e israeliani. Anche la comunità cristiana nella regione è a rischio. Il cardinale Pizzaballa denuncia con coraggio la politica del governo israeliano: la risposta al terrorismo di Hamas è sproporzionata, semina odio e raccoglierà vendetta. Non è la strada della pace - sottolinea Manfredonia - ma nemmeno della giustizia per liberare gli ostaggi. Le guerre si combattono tra eserciti, qui è colpito quasi solo un popolo inerme. Non manifestiamo contro Israele, siamo contro chiunque sparga odio insensato, ma critichiamo il suo governo che da anni porta avanti politiche sbagliate: gli insediamenti dei coloni, Betlemme circondata da muri alti 15 metri. Se non c’è opportunità di riscatto, l’unica reazione rischia di essere quella violenta. Sbagliata, ma prevedibile».

Fabio Alberti, dirigente di Un ponte per, è nell’esecutivo di Rete pace e disarmo: «Manifestiamo perché non si può assistere in silenzio al massacro in corso, al di là di qualsiasi motivazione della guerra. Va invece rispettato il diritto internazionale, riconoscendo lo stato palestinese per una pace duratura, come stabilito dalla risoluzione Onu del 1947. E siamo in piazza anche per l’Europa: a febbraio sono stato al Forum sociale mondiale in Nepal, e l’Europa, vista con gli occhi di quei 20 mila attivisti, ha una posizione incomprensibile, non capiscono il suo silenzio su Gaza. Se l’Europa istituzionale tace, noi diamo voce all’Europa della gente. O i diritti umano valgono sempre - puntualizza Alberti - o non valgono più. L’Europa sta rinunciando a essere alternatvo a Stati Uniti e Russia. Israele è fortemente dipendente dall’Occidente che, se volesse, potrebbe spingerla a scelte diverse». Pacifisti filo-Hamas? «Guardate la nostra storia, da sempre contro la guerra. È chi ci critica che applaudiva i bombardamenti in Iraq e in Afghanistan. Sì, i palestinesi devono liberarsi di Hamas, ma ci vorranno due generazioni per superare quest’odio e questa violenza».

«Oggi la priorità assoluta è il cessate il fuoco - dice Francesco Vignarca di Rete pace e disarmo - ma come questa guerra non comincia con il 7 ottobre, così il percorso per la pace e la riconciliazione in Israele parte almeno nel 2019, quando è nata Assisi Pace Giusta, con tanto lavoro assieme ai pacifisti israeliani e palestinesi».

Per Il presidente del Movimento Nonviolento Mao Valpiana «la diplomazia è immobile, il diritto internazionale non ha voce, l’Onu è paralizzata, mentre la strage di civili sembra non avere fine. Il criminale atto terroristico di Hamas ha acceso la miccia di una violenza senza precedenti. Violenza chiama violenza, e la moltiplica fino a che diventa inarrestabile. Prima che sia troppo tardi bisogna imporre un “cessate il fuoco” a tutte le parti per garantire l’assistenza umanitaria. La popolazione civile di Gaza è vittima della violenza israeliana e ostaggio della violenza di Hamas».