Attualità

L'analisi. Il politico narciso e il duro prezzo imposto ai dem

Eugenio Fatigante venerdì 30 ottobre 2015
Siamo al redde rationem. Ora non resta da sperare che sia il più breve possibile. «Per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte», scriveva Khalil Gibran. Ed è una doppia notte quella che sembra calata da ieri sulla Città Eterna. Dove la mossa disperata e ardita di un sindaco narciso, forse un po’ troppo pieno di sé e rimasto ormai senza mezza giunta, allo stesso tempo apre uno scenario mai visto per la capitale e getta ombre forti sul Partito democratico. Perché, assieme all’onore delle armi, è questo l’obiettivo cui punta Ignazio Marino: far venire a galla, in tutta la loro plasticità, le contraddizioni di un partito (col presidente Orfini che si 'inventa' commissario) che a Roma sta lasciando macerie non diverse da quelle depositate dal centrodestra. E arrivare a un epilogo non fra maggioranza e opposizione, ma - paradossalmente - fra il Pd del premier Renzi e il 'suo' sindaco. Quello che, pur non essendo il candidato 'vero' del partito, poco più di due anni fa sbaragliò la concorrenza alle primarie e poi nella sfida contro Alemanno. Marino può aver operato bene o male (e in questo campo rientrano le illegali trascrizioni delle unioni gay) come sindaco, a seconda dei punti di vista di ciascuno, ma un punto delle sue tesi è a suo modo incontestabile: «Ritengo che ci sia un luogo sacro per la democrazia che è l’aula, il consiglio comunale». Se deve cadere il sindaco che il suo stesso partito ha strenuamente difeso fino ai primi d’ottobre indicandolo come il presunto 'campione Antimafia' della capitale (anche a costo di passare sopra alle non poche imperfezioni sulla gestione di una città che molto lascia a desiderare), è giusto che tutte le ragioni siano spiegate e illustrate ai cittadini. Perché in fondo - a questo punto è chiaro - la vicenda degli scontrini e delle cene è stata ridimensionata lungo queste settimane (e non sarebbe nemmeno l’unico a dover rendere conto di certe spese 'allegre', dopotutto). Se Marino viene cacciato perché ha amministrato male la città, non era così anche tre settimane fa? Cosa è cambiato nel frattempo? In assenza di spiegazioni, resta la sensazione spiacevole delle 'manovre di Palazzo'. E lo spettacolo di un Pd costretto disperatamente a inseguire le opposizioni. Scene poco edificanti per tutti. Tranne per M5S che, non a caso, resta alla finestra. Sic transit gloria Romae.