Le lacrime nei banchi della sinistra di maggioranza e quella più estrema di Sel, che dopo il lancio di crisantemi arriva con il lutto al braccio, gli occhi lucidi in Transatlantico, gli strappi e i ripensamenti laceranti accompagnano come per un funerale la prima fiducia alla legge elettorale, chiesta da Matteo Renzi, che incassa una soglia di voti più che sufficiente (352 sì, 207 no e un astenuto), ma che sancisce la spaccatura del Pd.
Trentotto esponenti della minoranza decidono di non partecipare. Tra loro Pier Luigi Bersani, Enrico Letta, l’altro ex segretario Epifani, Roberto Speranza, Gianni Cuperlo e Rosy Bindi. Una scelta annunciata, che supera le aspettative del vertice del partito (al Nazareno si sperava in una protesta più contenuta), e che – interpretata dalla presidente della Commissione Antimafia Bindi – «chiarisce che le elezioni sono più vicine». Matteo Renzi, però, lascia trapelare solo ottimismo. E - come il giorno precedente - il premier si esprime via twitter per dire «grazie di cuore a chi ci ha votato, la strada è lunga ma è la volta buona».
Anzi, dalla sua scrivania, il segretario del Pd esclude epurazioni, a dimostrazione che neppure con i big uniti la sua maggioranza va in difficoltà. Quanto alle polemiche, scrive ancora sul web il capo del governo, «sulla legge elettorale sono giorni di polemica e discussione. Rispetto le posizioni di tutti e di ciascuno. Fa male sentirsi dire che siamo arroganti e prepotenti: stiamo solo facendo il nostro dovere. Siamo qui per cambiare l’Italia. Non possiamo fermarci alla prima difficoltà».
Il ministro Boschi, il vicesegretario Guerini e il vicecapogruppo Rosato, però, non si aspettavano tanta ostilità. Il segnale negativo potrebbe preludere a un voto risicato per le due fiducie di oggi e mettere a rischio l’approvazione, prevista tra martedì e mercoledì della prossima settimana. Per Renzi l’importante è che la legge venga approvata, anche con pochi voti di scarto. Ma il segretario democratico non vuol sentir parlare di cacciare i dissidenti. Anzi, proprio ieri, prima ancora del voto, dalle colonne della "Stampa", aveva promesso margini di trattativa per la riforma costituzionale, correlata all’Italicum, su cui la minoranza interna aveva chiesto di discutere: «Ci sarà spazio al Senato – secondo Renzi – per riequilibrare ancora la riforma costituzionale facendo attenzione ai necessari pesi e contrappesi: nessuna blindatura, nessuna forzatura».
Insomma, per ora si va avanti senza preoccupazioni apparenti. «Siamo in linea con i numeri delle altre fiducie. È il primo passo», conferma il ministro Boschi. «È chiaro che c’è stato uno strappo nel Pd, è chiaro che è un momento complicato, ma è apprezzabile la scelta responsabile di gran parte della minoranza», per il presidente dem Matteo Orfini.
In sintesi, per Guerini, «numericamente la prima fiducia è un ottimo risultato. È stato contenuto il dissenso interno al gruppo Pd grazie al lavoro di queste ore e alla responsabilità di chi, pur non condividendo del tutto la legge elettorale, ha deciso di non far mancare il sostengo al governo».
Tra i "responsabili", molti hanno votato proprio per salvare l’esecutivo. «Io non avrei mai detto sì all’Italicum, ma dal mondo dei disabili tanti mi hanno chiamato perché non si mettesse a rischio il governo mentre si sta approvando la legge sul "Dopo di noi"», spiega Ileana Argentin. E come lei, tanti esponenti contrari al testo hanno rispettato le richieste del proprio elettorato.
Di certo pesano i "no" dei big, che da soli non hanno nessuna intenzione di lasciare il partito. Lo aveva detto Gianni Cuperlo. Lo ribadisce Bersani: «Io non esco dal Pd, non ci sarà nessuna scissione. Bisogna tornare al Pd, non uscirne». Anche perché, insiste l’ex segretario, «lo strappo non l’ho fatto io, l’ha fatto Renzi mettendo la fiducia, perché non aveva fiducia in noi».
Qualcuno ha portato acqua al mulino renziano anche dalle opposizioni. Ma da Forza Italia, Renato Brunetta vanta la compattezza dei suoi per un «voto contrario e sofferto, perché è sofferta questa legge elettorale». Piuttosto il presidente dei deputati azzurri infierisce sulle divisioni del Pd. «Ecco, questo è il bel risultato di Renzi. Voleva fare le riforme insieme, ha costretto noi a sbattergli la porta in faccia perché non ha mantenuto la parola, ma ha fatto ben di più, ha distrutto il suo partito». La legge, dunque, si avvia verso l’approvazione e in pochi credono in un colpo di scena. Anzi, dai Cinquestelle, Danilo Toninelli avvisa che «stiamo valutando se raccogliere le firme per il referendum abrogativo, lo decideremo nei prossimi giorni».