Europee. Schlein “quasi” candidata. Meloni pronta al corpo al corpo
Come da copione, è stato il Pd a fare il primo passo chiedendo a Elly Schlein di candidarsi alle europee. Mentre Giorgia Meloni e Fdi si tengono stretto il vantaggio di potersi esprimere solo quando la prima forza di opposizione, e tutti gli altri, avranno fatto la loro scelta. Ma ormai la chiave che accende il motore del corpo a corpo tra le due leader è stata girata, ed è sempre più difficile che la presidente del Consiglio, a sua volta pressata dal proprio partito, si sfili.
Il fatto del giorno, innanzitutto. Tra malumori e obiezioni eccellenti, come quella espressa da Romano Prodi in tempi non sospetti, l’ipotesi di una candidatura di Schlein alle Europee, «con diverse sfumature», è stata ufficialmente avanzata durante la riunione della segreteria dem di ieri. Le proverbiali “fonti vicine” al Pd, direttamente riferibili alla segretaria, raccontano che «tutti» i componenti dell’organismo di partito «le hanno chiesto di candidarsi». Qualcuno spingendo per la formula tradizionale, ovvero da capolista in tutte le circoscrizioni. Altri chiedendole di essere sì presente ovunque, ma guidando la lista solo nella circoscrizione Nord-orientale, e mettendosi a servizio di altri nomi forti, anche esterni al partito, negli altri territori. Più cauti gli esponenti della minoranza dem, preoccupata sia dall’eccesso di “civismo” sia dall’eventualità che la segretaria «penalizzi altre candidature femminili». Tuttavia, la leader ha «preso atto» dell’invito, precisando che «prima di esprimersi» sarà necessario avere chiaro «l’impianto generale» delle liste.
In realtà, se la faccenda non si è definita già ieri non è tanto per i dubbi della minoranza quanto perché ci si è presi il tempo necessario per valutare gli effetti in Fdi, nel centrodestra in generale, ma anche tra le altre forze di opposizione (ad esempio, sinora Giuseppe Conte, presidente M5s, ha sostenuto di non volersi candidare). Ma le parole di Schlein sulla «responsabilità del Pd come primo partito di centrosinistra di costruire l’alternativa a questo governo» (pronunciate sempre in segreteria) suonano come un ulteriore indizio.
Certo per la segretaria candidarsi significherebbe ignorare i consigli di Prodi, non uno dei tanti. Ma è anche vero che la sua posizione in termini di consenso personale è in crescita (almeno stando agli ultimi sondaggi sul gradimento dei singoli leader) e al momento non ci sono molti nomi spendibili altrettanto forti interni al partito. Tanto più che quelli che circolano adesso, escluso Decaro (ufficializzato ieri come numero due al Sud dopo la giornalista Lucia Annunziata, capolista), non sono esponenti di partito. Insomma la presenza di Schlein, oltre ad esprimere in modo diretto il rinnovamento in corso dentro il partito, paradossalmente sarebbe importante anche per quei pezzi di apparato, dotati di molte preferenze, che hanno bisogno del traino della segretaria, la quale però, anche se eletta, non abbandonerebbe lo scranno alla Camera e lascerebbe presto il posto all’Europarlamento.
Il passo in avanti del Pd avvicina l’ipotesi suggestiva del primo scontro elettorale tra le due leader nazionali. La premier ha già fatto sapere di voler decidere solo all’ultimo. La data cerchiata in rosso è il 26 aprile, quando inizierà a Pescara la convention di Fdi. La sfida alle urne sarebbe il completamento di un percorso: la promessa reciproca di un confronto televisivo, le scaramucce in Aula, ma anche le telefonate d’intesa sulla politica estera e i voti concordi contro il terzo mandato ai governatori.
Il loro tentativo di polarizzare lo scontro potrebbe influenzare le scelte altrui. Certamente, con Meloni in campo farebbe lo stesso anche Antonio Tajani. Senza contare che i tre avrebbero un altro interesse in comune: seguire in prima persona le trattative a Bruxelles sulla nuova Commissione. E non è detto che le seguano da posizioni così distanti.