Papa Giovanni XXIII. Il pasto che cambia la vita
Alle strutture della comunità negli ultimi mesi si sono rivolti soprattutto gli italiani travolti dalla crisi del Covid: disoccupati, liberi professionisti, giovani famiglie. Ecco le tovagliette solidali con cui sostenerli
Poteva capitare a tutti noi. E forse a molti è capitato davvero, in questo anno e mezzo di crisi mondiale: da un giorno all’altro perdere il lavoro, restare senza stipendio, e giù a cascata senza casa, senza cibo, senza speranza. La storia di Antonio, 52 anni, di sua moglie Marisa, 47, dei loro due figli Jonathan e Lucia, mamma a sua volta di due bimbi piccoli, potrebbe essere quella di tutti noi: coltivava i campi, Antonio, e nei giorni di mercato vendeva i prodotti dell’azienda agricola, e questo bastava per garantire a tutti e sei una vita dignitosa. Finché è arrivato il Covid e con il lockdown tutto si è fermato, quel poco di stipendio non è più arrivato, Antonio non ha più pagato l’affitto e alla fine ha perso anche la casa. In sei hanno dormito in macchina, l’unico riparo rimasto, poi hanno cercato un angolo di spiaggia per giaciglio. Inutile telefonare a tutti i numeri che avevano, inutile supplicare uno straccio di lavoretto... È per migliaia di famiglie come questa che l’associazione Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi organizza ogni anno l’iniziativa solidale Un pasto al giorno, quest’anno resa più urgente dalla pandemia: oggi in 800 piazze d’Italia i volontari raccoglieranno offerte, piccole gocce che andranno a garantire 7 milioni e mezzo di pasti.
I pasti garantiti ogni anno dalla Papa Giovanni XXIII ai poveri che si rivolgono ai
centri di tutto il mondo
Le mense per i poveri che la Comunità ha aperto in Italia e in altri 43 Paesi per far fronte alla malnutrizione
Le strutture di accoglienza e le case famiglia aperte nei
territori dove è forte la pressione della povertà
«Antonio e Marisa erano disperati», racconta Luca, responsabile di una delle 500 strutture di accoglienza che la comunità ha aperto in oltre 40 Paesi del mondo, «ma li abbiamo ascoltati e abbiamo cercato insieme una soluzione, perché il problema "di Antonio" era anche nostro, come nostri erano il suo pianto e la sua vergogna di padre che non riusciva più a mantenere i suoi figli. Da quel momento non erano più soli». Accolti da Luca alla "Capanna di Betlemme" insieme ad altri senza tetto, hanno ripreso coraggio. Ora Antonio è stato assunto in un’azienda agricola per la vendemmia, ha di nuovo uno stipendio e quindi una casa (i volontari hanno fatto una colletta per la caparra necessaria al nuovo affitto), ma soprattutto sa che qualunque cosa possa ancora succedere «non proverò più il dramma di dover affrontare tutto da solo, senza nessuno che condivida le nostre paure». Perché solo quando capita a noi, improvvisamente ci stupiamo dell’indifferenza altrui: io soffro e a nessuno importa del mio dolore? Possibile?
Non tutti siamo Luca, anzi, aprire le porte di casa propria a chi di colpo si ritrova povero è un eroismo di cui pochi sono capaci, ma tutti certamente possiamo andare sul sito www.unpastoalgiorno.org per trovare la piazza più vicina o per fare un’offerta online e ricevere in cambio le tovagliette disegnate dagli artisti dell’Associazione italiana Autori di Immagini: «Sarà come invitare una persona in difficoltà – affermano i volontari –, ogni tovaglietta simboleggerà il posto di un povero alla nostra tavola».
Non c’è tempo da perdere, spiegano alla Papa Giovanni XXIII: causa pandemia in Italia oggi sono oltre 5,6 milioni le persone in stato di bisogno, un milione i nuovi poveri, «persone che prima non avevano bisogno di aiuto» (dati Istat). Occorre allora uno sguardo ampio – commenta Paolo Ramonda, presidente della Comunità –, «che vada oltre alla grave crisi del Covid e consideri le crisi umanitarie mondiali, che ci riguardano tutti. Troppi esseri umani ancora non hanno accesso all’acqua, alle cure, all’istruzione. La soluzione va cercata in un approccio che metta al centro non il vantaggio dei singoli, ma il sentirsi un’unica comunità formata da persone che affrontano tutte insieme le difficoltà, nel segno del messaggio di papa Francesco».
«Non è un santo che fa la rivoluzione, ma è un popolo di santi che può fare la rivoluzione!», ammoniva don Benzi (la cui causa di beatificazione è in corso), «anche il più grande santo non cambia da solo le strutture di iniquità che dominano sul mondo, solo un popolo che prenda coscienza di essere santo può trasformare il mondo». E almeno per oggi basta un gesto obiettivamente molto piccolo.