Solidarietà nel mirino. De Bortoli: «Il Paese è pronto alla riscossa»
Ferruccio de Bortoli
È un popolo silenzioso e disperso, frammentato eppure imponente, quello che Ferruccio de Bortoli tratteggia mentre ragiona sulla fase di «riscossa civica» che attende l’Italia. «Non posso che sottoscrivere la campagna con cui Avvenire sta portando alla luce l’atteggiamento insieme irresponsabile e punitivo dell’attuale governo nei confronti del Terzo settore, trattato alla stregua di un crogiuolo di buonisti ideologici» spiega il giornalista che ha diretto il Corriere della Sera e il Sole 24 Ore, oggi presidente della casa editrice Longanesi e dell’associazione Vidas. È lo stesso popolo che ha rappresentato il vero antidoto al rancore in questi anni e che adesso chiede di essere rappresentato, anche da parte di quella classe dirigente che non ha capito quel che stava succedendo. «Autocritica e impegno sono le due facce della stagione che ci attende» sottolinea de Bortoli, che ha appena pubblicato per Garzanti un libro dal titolo 'Ci salveremo. Appunti per una riscossa civica'.
Da cosa deriva questa fiducia nel futuro del Paese, visto che il presente sembra prigioniero di tensioni ed emergenze sociali?
Credo che esista un’Italia che vuole più di ogni altra cosa emanciparsi dal fantasma della paura. Il nostro Terzo settore, tanto inviso all’attuale maggioranza di governo, rappresenta la sintesi migliore di una società civile indipendente, solidale e che pensa agli altri. Abbiamo un capitale sociale elevatissimo, che è stato tra l’altro il vero ammortizzatore sociale negli anni della crisi economica. Se in questo decennio abbiamo superato senza eccessivi conflitti o episodi di violenza la recessione, è per merito di chi ha saputo curare il rancore e dare speranza.
Non teme che, in questa fase, questo patrimonio di solidarietà finisca schiacciato tra una visione neostatalista, quella dei Cinque Stelle, e quel che resta del vecchio liberismo leghista?
Mi pare che Salvini stia interpretando più che altro la parte selvaggia della maggioranza, penso che neppure conosca i principi liberali. Aggiungo anche che la Lega è come se mostrasse fastidio per il solidarismo cattolico, mentre i grillini hanno scambiato, sbagliando di grosso, il mondo del volontariato come parte del vecchio establishment. In generale, credo che qualsiasi segnale di presenza civica si stia dimostrando distante dalle idee di questo governo. Credevo che ai due vicepremier non piacessero le Ong di mare, ora devo constatare che a entrambi non piacciono neppure quelle di terra.
Cosa si può fare, in concreto, per invertire la rotta, mettendosi dalla parte degli ultimi?
I ritardi nella scrittura dei decreti attuativi della riforma del Terzo settore pesano tantissimo, perché lasciano migliaia di realtà in una specie di limbo normativo. Pensi al registro nazionale delle organizzazioni di volontariato, che comporterà un cambio di statuto per tante organizzazioni. Bisogna fare presto su questo punto, perché l’incertezza normativa è un danno per chi lavora e a catena si riflette sui livelli di assistenza per le fasce sociali a cui i servizi vengono erogati. Penso poi che un’altra grande missione sia possibile.
Quale?
Il governo del cambiamento si intesti una grande campagna per la manutenzione, la messa in sicurezza del territorio e la pulizia delle città. D’altra parte, si è capito che sia il reddito di cittadinanza che quota 100 non sortiranno gli effetti sperati.
Perché?
Non sappiamo se la proposta del M5s sarà utile contro le povertà diffuse, mentre certamente possiamo dire che il salario minimo lanciato da Di Maio è una misura antisociale, perché rischia di incrementare il nero e far fuggire le aziende dai contratti collettivi. Su questo versante, è stato enorme l’errore del centrosinistra che non capì come il Reddito di inclusione sociale proposto dall’Alleanza contro la povertà dovesse diventare una priorità. Su quota 100 c’è poco da dire: ha un costo di 40 miliardi in 3 anni, doveva garantire occupazione giovanile a tre persone ogni pensionato in uscita dal sistema del lavoro. Invece, stiamo assistendo al contrario.
Non crede che il clima di intolleranza sociale sia responsabilità di élite autoreferenziali ed egoiste?
Credo sia giusto e necessario che le élite facciano autocritica, stampa compresa, perché non hanno voluto vedere quanto fosse profondo questo abisso. Hanno prevalso e stanno prevalendo l’arroganza del potere, l’ignoranza su mondi complessi e capillari come il Terzo settore, il fastidio malcelato per il fatto di non poterci mettere le mani sopra. Per questo, credo ci siano ampi spazi per una riscossa civica, che avrà un solo colore politico: quello della cittadinanza.
Che ruolo potranno avere i cattolici?
Penso che al momento ci sia un pregiudizio anticattolico e insieme ritengo che mai come in questa fase i cattolici siano stati irrilevanti. Devono recuperare una voce politica, devono aprire una società chiusa. D’altra parte, il verbo chiudere non si addice alla dottrina sociale della Chiesa, come sta dimostrando in questi anni papa Francesco.
Immagina siano possibili alleanze civiche col mondo laico?
La fusione migliore tra cultura laica e cattolica si vede perfettamente nel volontariato. Penso che ci sarà una reazione di quel che resta dei corpi intermedi, abbandonati da questo governo. Poi, certo, immagino che laici e cattolici insieme, secondo le loro migliori tradizioni, possano collaborare per lenire le ferite sociali, per far crescere i nostri sistemi di welfare e sanità, per strappare dalla povertà milioni di ragazzi che non studiano e non lavorano. Chi resta tagliato fuori non è un ultimo, non è uno scarto.
C’è chi ha visto nel disprezzo del povero, nella paura del diverso, nella guerra agli ultimi una sorta di sdoganamento del fascismo. Che ne pensa?
Mi preoccupa la perdita di memoria del Paese, che rischia di smarrire per sempre un patrimonio vero di valori condivisi. Ma sono anche fiducioso sulla nostra capacità di rialzare la testa. Insieme ce la faremo, anche stavolta.