La misura. La prima mossa allo studio del nuovo governo: uno sblocca-investimenti
Salvini, Calderoli e Giorgetti
Non solo bollette e manovra. Nei primi veloci scambi di battute con i ministri - in particolare con il titolare del ministero dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e il nuovo riferimento per il Pnrr, Raffaele Fitto - Giorgia Meloni ha dato immediatamente un’indicazione operativa: «Dobbiamo recuperare il tempo perso». Il riferimento è al Piano nazionale di ripresa e resilienza: come certifica l’ultima Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, entro l’anno saranno spesi 21 dei 29,4 miliardi previsti. Più di 8 miliardi non sono stati ancora “messi a terra”.
E se il ritardo ricadrà a cascata sulle prossime annualità, si incorrerà nel rischio concreto di non spendere entro il 2026 molte delle risorse rese disponibili dall’Unione Europea. Con un ritardo medio di 8 miliardi all’anno ogni 30 di spesa prevista, il rischio è lasciare inutilizzati oltre 50 miliardi di euro e di non realizzare opere e progetti per uguale valore.
Da qui l’indicazione di Meloni, in realtà partorita già durante le quattro settimane che sono trascorse dalle elezioni politiche al suo giuramento al Quirinale: varare il prima possibile un provvedimento “sblocca-investimenti”. Con due pilastri: una serie di norme di semplificazione e sburocratizzazione, più “spinte” rispetto a quelle varate negli ultimi mesi dall’esecutivo Draghi; e un rafforzamento dei fondi di compensazione per far fronte al “caro-energia” che rischia di far archiviare diversi progetti esecutivi. Una vera e propria “deregulation” per la quale l’istruttoria nei fatti è già partita.
Anche perché, se anche non si riuscisse a recuperare sui progetti non partiti, il cronoprogramma prevede che il Paese dovrà riuscire a spendere 40,9 miliardi nel 2023, 46,5 nel 2024, 47,7 nel 2025 e 35,6 nel 2026. Partendo dai 21 dell’anno che va a chiudersi, la preoccupazione di non farcela è motivata.La questione dovrà essere correttamente impostata dal punto di vista politico. Il governo, sul tema, è coeso.
E Matteo Salvini, da neoministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, ha già detto negli scorsi giorni che «non vede l’ora di sbloccare tutto». Tuttavia, l’ultima volta che Meloni ha accennato al tema dei «ritardi», a inizio ottobre, ne è scaturito l’unico vero screzio post-elettorale con Mario Draghi. L’ex premier ha smentito le parole della leader Fdi, e a stretto giro di posto anche la Commissione Ue ha assicurato che l’Italia è in linea. Poi i numeri del Nadef hanno fatto chiarezza: l’Italia sta rispettando i “target” di tipo normativo, ma sulla spesa c’è ancora il freno tirato.
La spinta che Giorgia Meloni vorrebbe imprimere alla spesa dei soldi del Pnrr ha motivazioni pragmatiche: il tesoretto lasciato da Draghi e dal ministro Franco, 10 miliardi circa, sarà usato per un nuovo intervento tampone sulle bollette. La legge di bilancio si muoverà entro i margini ristretti dei conti pubblici. Insomma, per evitare che il 2023 sia un anno nero per l’economia, occorre che le risorse stanziate e disponibili non siano tenute in cassaforte.
Per questo motivo un provvedimento sulle semplificazioni potrebbe vedere la luce già nel primo mese dell’attività di governo, unendo poi la sua corsa all’iter della manovra.