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Il piano. Draghi avvisa i "falchi" europei: «Opporsi al debito comune è opporsi all’Ue»

Vincenzo Rosario Spagnolo martedì 17 settembre 2024

Mario Draghi

«Siamo tutti in ansia per il futuro dell'Europa», ammette con franchezza l’ex governatore della Banca centrale europea Mario Draghi, presentando il più volte annunciato report sulla competitività alla plenaria del Parlamento europeo. Le sue considerazioni arrivano nel giorno in cui la presidente Ursula von der Leyen annuncia la nuova squadra che comporrà la prossima Commissione Europea. «La mia preoccupazione - argomenta Draghi - non è che ci troveremo improvvisamente poveri e sottomessi agli altri», poiché «abbiamo ancora molti punti di forza in Europa».

Ma, prosegue l’ex presidente del Consiglio, «è che col tempo diventeremo inesorabilmente un posto meno prospero, meno equo, meno sicuro». E, «di conseguenza, saremo meno liberi di scegliere il nostro destino». Un monito rivolto tanto ai falchi del rigorismo che agli euroscettici, perché in quest’ottica, i sovranismi e gli eccessi di nazionalismo non potranno che essere controproducenti: «Se ci si oppone alla costruzione di un vero mercato unico, all'integrazione del mercato dei capitali e all'emissione del debito comune - osserva con nettezza Draghi -, ci si oppone ai nostri obiettivi Ue».

Non solo: «affinché l’Europa rimanga libera, dobbiamo essere più indipendenti», avverte l’ex premier italiano, «dobbiamo avere catene di approvvigionamento più sicure per le materie prime e le tecnologie critiche». Ancora, «dobbiamo aumentare la capacità produttiva europea nei settori strategici ed espandere la nostra capacità industriale per la difesa e lo spazio». Ciò non in un’ottica bellicistica, perché - asserisce ancora l’ex governatore di Bankitalia - «la pace è il primo e principale obiettivo dell'Europa tra i propri confini e all'estero e dobbiamo continuare in questo sforzo costante», ma non si può non prendere atto del fatto che «le minacce alla sicurezza aumentano e dobbiamo prepararci».

Sul piano dell’analisi economica, da esperto qual è, Draghi tratteggia uno scenario non privo di incognite: «È naturale che i grandi numeri» sugli investimenti necessari all’Ue, quantificati nel suo rapporto, «creino preoccupazioni per l’aumento dei livelli di debito», considera ancora, ed «è legittimo essere preoccupati per l’emissione di debito comune». Ma ciò servirà a finanziare «gli obiettivi Ue», assicura, ricordando come gli investimenti necessari a garantire la competitività siano pari a circa 750-800 miliardi di euro aggiuntivi l’anno. «Vorrei essere chiaro», scandisce l’ex premier fissando gli eurodeputati seduti davanti a lui, «non si tratta di nuove esigenze di investimento identificate nel rapporto, bensì di esigenze richieste per raggiungere gli obiettivi esistenti dell’Ue».

Storicamente, gli investimenti in Europa sono stati finanziati per circa l’80% dal settore privato e per il 20% da quello pubblico. Ma ora, le simulazioni della Commissione e del Fondo monetario internazionale «mostrano che per finanziare questo volume di investimenti, è necessario fare progressi sull'Unione dei mercati dei capitali». Cio servirà a canalizzare altro capitale privato, ma comunque non si potrà fare a meno del «sostegno pubblico», ipotizza Draghi, in «progetti chiave» per l’energia, l’innovazione e la difesa. Un monito che ha risuonato nell’Aula, di fronte a un uditorio attento. Al termine della presentazione del rapporto, Draghi ha lasciato l'Aula, senza poter replicare agli interventi degli europarlamentari, in quanto - è stato spiegato - «non è commissario europeo, né ministro, né presidente di un Paese».